Diario. 6 settembre-31 dicembre 1943
- Autore: Mario Roatta
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2017
Amarezza e rabbia, per una nazione abbandonata al destino peggiore, per le forze armate allo sbando, per l’egoismo cieco degli alti gradi militari e della casa regnante. È quello che si prova leggendo le annotazioni dell’allora (settembre 1943) Capo di Stato Maggiore dell’esercito, Mario Roatta, nel “Diario. 6 settembre-31 dicembre 1943”, a cura di Francesco Fochetti, pubblicato nell’autunno 2017 da Ugo Mursia Editore (pp. 240, di cui 16 di inserto fotografico, euro 21,00).
Amarezza, nel vedere candidamente riconosciuto il doppio gioco, la partita su due tavoli giocata inaffidabilmente dai responsabili della situazione disperata del Paese. Nel suo diario, Mario Roatta, militare di grado elevatissimo, annota senza pudore che mentre attendeva la comunicazione dell’armistizio italiano con gli angloamericani, prendeva un caffè insieme a due generali tedeschi, concordando con loro le linee operative per la difesa italo-germanica della Calabria dall’avanzata proprio delle truppe angloamericane. E una volta fuggito a Brindisi insieme al re e al primo ministro Badoglio, si preoccupava di acquistare camicie invece di prendere la minima misura per scongiurare la disgregazione in atto di tutte le nostre forze militari.
Erano state lasciate senza ordini, in balia dei nazisti, che punivano con ferocia il voltafaccia degli italiani, per loro l’ennesimo tradimento di un’alleanza. Nei Balcani, centinaia di migliaia di nostri soldati, marinai e avieri venivano avviati nei campi di prigionia del Reich. In Italia e nelle isole greche alcuni reparti si battevano spontaneamente contro i tedeschi, a costo di rappresaglie cruente e fucilazioni. Mentre questo accadeva, il più alto grado dell’esercito era angustiato dalla mancanza di notizie… da parte del sarto della Marina, che avrebbe dovuto confezionargli un’uniforme nuova.
Tutto crollava intorno ai Savoia, a Badoglio e al fascismo, ma il generale Roatta salutava nel suo diario il ritorno alle sane abitudini a Brindisi: le partite a pinacolo e il caffè in ufficio.
Non si sapeva niente di questi testi diaristici, prima del maggio 2014. È allora che un capace dirigente archivista, Francesco Fochetti, apprende dell’esistenza dei diari, custoditi dagli eredi Roatta e convince il figlio, ing. Sergio, ad autorizzare l’esame dell’ingente materiale storico. Si tratta di sei metri lineari di documenti, fotografie, scritture di genere memorialistico, ma anche di saggi e racconti, raccolti nell’archivio segreto e rimasti intatti dalla morte del generale, nel 1968 (era nato a Modena il 2 gennaio 1887).
Non alto, appesantito da una vistosa pancetta, occhialuto, più che di un combattente Mario Roatta aveva l’aspetto di un funzionario. E proprio come burocrate del male venne trattato, con la condanna all’ergastolo per vari crimini politici e di guerra, alla quale si era sottratto qualche giorno prima, il 4 marzo 1845, evadendo dagli arresti nell’ospedale militare alleato del Liceo Virgilio di Roma.
Tutti lo consideravano uno dei grandi colpevoli, per ragioni diverse. Gli Alleati avevano chiesto la sua testa, per le fucilazioni dei civili ordinate nel corso della repressione delle azioni partigiani in Croazia, ottenendo la destituzione da Capo Stato Maggiore già nel novembre 1943. Per l’Italia repubblicana incarnava le colpe dei vertici del Regio Esercito, che avevano lasciato nel caos i reparti dislocati in Italia, Egeo e fronte balcanico. Per gli antifascisti aveva collaborato attivamente all’eccidio dei fratelli Rosselli, in qualità di capo del Servizio segreto militare. Fascisti e repubblichini lo consideravano uno dei traditori del Duce, non perdonandogli di aver infranto i patti con l’alleato germanico e infangato l’onore dell’Italia. Il maresciallo Tito e Stalin reclamavano la consegna al governo jugoslavo, per giustiziarlo, come responsabile della mattanza che aveva insanguinato i territori slavi.
Quanto alla natura degli appunti, le annotazioni dal 6 al 10 settembre 1943 vennero redatte in una forma simile a un rapporto ufficiale, tanto che il generale usa la terza persona quando parla di sé:
“Roatta dice… Roatta risponde”.
Dall’11 settembre le note diventano più personali, diaristiche, i toni sono diversi, c’è più immediatezza e qualche osservazione spesso esula dal contesto dei fatti ufficiali. Si possono notare gli equilibrismi di quei giorni, nel tentativo di salvare la Casa reale sabauda.
In questa edizione è trascritto il diario fino al 31 dicembre 1943. I quaderni successivi sono sempre più scarsi di informazioni, soprattutto dopo il trasferimento del Comando Supremo a Lecce e del Governo a Salerno. Del resto, la destituzione dalla testa dell’Esercito lo aveva escluso dalla partecipazione alle decisioni di carattere strategico-militare.
Questo è quindi il primo di una serie di diari da pubblicare. Per chi si attende rivelazioni inedite sulla debole resistenza opposta ai tedeschi che cercavano di entrare nella capitale, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre, si sappia che Mario Roatta liquida la pagina drammatica sottovalutando il piano germanico di demolizione delle nostre forze armate (l’importante era salvare il re e se stesso dalla cattura) e negando la possibilità di difendere Roma, per la mancanza di munizioni, carburante e l’avvicinamento di forti colonne corazzate nemiche. Nulla di più.
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