Diario di un poeta zen a passeggio per Roma
- Autore: Ren Zen (Renzo Maggiore)
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2016
Passeggiare per svago o passeggiare meditando, riempiendo la mente e il cuore di visioni che suscitano pensieri e conoscenza: ecco la differenza essenziale tra uno sguardo distratto e uno sguardo che si fonde con il mondo e lo racconta "in essenza". Se inoltre chi passeggia è un poeta, e ne scrive, la passeggiata diventa un incanto. Se il poeta è un poeta zen, abbiamo quadri di realtà esteriore/interiore che esprimono l’attimo nel suo fulgore. Attimo che ha sapore dell’eternità e ripaga di ogni sofferenza, trasmutata in illuminazione, gioia e appagamento. È questa anche la filosofia di Spinoza, che raccomanda di considerare tutti gli eventi, e quindi il tempo, "sub specie aeternitatis" con l’occhio dell’eternità. Allora nulla si perde.
Tale è la poetica della silloge Diario di un poeta zen a passeggio per Roma di Renzo Maggiore, in arte Ren Zen, (Booksprint Edizioni, 2016, pp. 90).
Infatti il poeta, nella sua introduzione, gioca sulla definizione di Roma come "città eterna". Lo è per le vestigia e il fascino dei suoi monumenti, ma lo è ancor più per la capacità di suscitare emozioni senza tempo, regalando a chi si pone in ascolto con gli occhi la appercezione della nostra stessa eternità. La cosa però ha un doppio significato: Renzo Maggiore esprime anche la caducità, avvertita con estrema concretezza proprio nella contemplazione del mondo antico; medita sull’aspetto transeunte e illusorio di ogni apparenza. Emblematico di questa dualità è il testo dedicato al Colosseo:
"Oltre ai nomi e ai giochi di guerra / rimane su tutti l’imponente Colosseo: / di tanta brama e crudeltà, / spettacoli meravigliosi o inumani / mi resta soltanto un immenso stupore / davanti all’enorme pietra / che si staglia nel blu indaco / di una Roma distratta. / I pochi pini sopravvissuti / sorridono della malinconia del poeta. / Questi versi sono come la vita stessa / e nemmeno una fotografia potrà salvarli / dall’incendio del tempo / né chi li ha scritti potrà sottrarsi /al martirio della polvere./ Guardo all’Arco di Costantino / come ad una porta verso l’Infinito / e continuo a credere nelle stelle.”
Da qui si intende la profondità delle liriche e delle passeggiate, compiute meditando ma pure con giocosità, specie nello zoo romano in cui il poeta ritrova la nostra anima primitiva e vede un suo animale totem. Ogni zona è amata, ogni pietra e ogni paesaggio, dal centro alla periferia fino al territorio dei Castelli e oltre, fino a Viterbo, con un processo di riappropriazione che penetra la storia, i lasciti di sapienza, di insegnamento etico. Ren Zen vive momenti altamente significativi visitando basiliche, ville, parchi, a contatto con la natura e con la civiltà. Assapora la bellezza intangibile e senza fine, atemporale perché è bellezza dell’anima.
“Che piacere farsi accarezzare da te! / Appena esci da casa e ti lasci camminare / l’anima si rasserena”.
In Campo de’ fiori, di fronte alla statua di Giordano Bruno, scrive versi ispirati e sintetici che abbracciano i secoli per arrivare fino a noi, ponendo un compito, un ideale di verità, per il quale il filosofo diede la vita:
"L’imponente statua sta lì alta e severa / a ricordare l’immortalità dell’Amore / l’evanescenza di giudizi e pene umane. / Non c’è tempo che possa cancellare la verità / che tieni tra le mani sotto forma di libro. / Forse abbiamo scritto troppo, caro filosofo / ed è giunta l’era di puntare alla Sintesi / salvando le foreste dalla devastazione / così come le anime dalla separazione.”
Il poeta gode della natura con intensità infantile rigenerante, di fronte alle margherite andando per l’Appia Antica, di fronte allo spettacolo delle pecore al pascolo, restituendo al lettore una grande serenità bucolica. Anche il mare di Anzio è fonte di guarigione dei nostri tumulti interiori. La veduta di Roma da Monte Mario diventa uno sguardo sull’universo. Le passeggiate sono un continuo inno al padre Sole e la luna ridiventa archetipo della madre. Il fiume è ansa di vita:
“Per il Lazio, il Tevere corrisponde al Nilo d’Egitto / e i faraoni parlano da sempre / attraverso tombe, obelischi / nei versi del poeta che viene da lontano…”
Roma “caput mundi”. Indubbiamente.
Intima e universale la riflessione che scaturisce al cimitero Verano:
“Cammino lento / nell’intimità del Verano. / Sono solo fra i tanti / che sanno d’essere soli / e gli infiniti nomi / impressi in lapidi e tombe / non esprimono altro /
che un solo grande Infinito. […] il poeta mantiene i tempi del silenzio / così facile da ritrovare in templi e cimiteri / nella profonda solitudine / piena di umanità / che mai si sente sola.”
In queste liriche limpide, redatte con un linguaggio non artefatto dal mestiere e che conserva lo stupore di un primo sguardo sul mondo, abbiamo il sentimento intatto della totalità, l’unico capace di far gustare la pace profonda, spesso perduta nei nostri giorni agitati e insensati, quando dimentichiamo il cielo. Renzo Maggiore lo ritrova continuamente. Afferma di aver compiuto il suo pellegrinaggio
“di frenetica e mistica ricerca / con la consapevolezza crescente / di dover cantare la mia natura / per trasmettere al mondo / e alla sua umanità / la saggia filosofia / dell’Ordine cosmico.”
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