Divorati
- Autore: David Cronenberg
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2014
L’aspetto disturbante dello specifico cronenberghiano si attesta sulla doppia direttiva visceralità/a-moralità. Può sembrare un ossimoro (può un approccio narrativo “viscerale” avvalersi della sospensione di giudizio?) e non lo è: per ciò inquieta. E destabilizza non poco.
David Cronenberg declina - da sempre - la sua poetica della mutazione - corporea, psicologica, sessuale - secondo un’asetticità da entomologo del post-umano, il pertubante evocato, seppure in relazione strettissima coi corpi, risulta, spesso, di pertinenza cerebrale, ideativa, filosofica. Non ci sono zombi o fantasmi ad infestare la corposa filmografia horror (?) del regista, se non quelli della mente (Scanners, Spider), della virtualità (Videodrome, Existenz), della sessualità (Inseparabili, M. Butterfly). O quelli derivanti da un’organicità protesica, artificiale, mutevole (La mosca, Crash), sconfinante persino in una nuova ontologia. Un’ontologia sintetica, anaffettiva, di accezione precaria, continuamente passibile di trasformazione, di transustanziazione in altro da sé.
Anche se fossi stato del tutto digiuno della filmografia di Cronenberg, dopo aver letto il suo primo romanzo (“Divorati”, Bompiani, 2014) mi sarei fatto un’idea più che esauriente delle coordinate teoriche attraverso le quali si snodano e riannodano i fili dei suoi plot. “Divorati” (“Consumed”, nell’originale inglese. Traduce ottimamente Carlo Prosperi) si presenta come un primo passo narrativo fluviale, acido, spietato/spudorato, autenticamente sui generis e borderline (in senso clinico, stavolta), dove nulla viene risparmiato al lettore, e dove Cronenberg riassume e riversa per intero il (contro)senso ultimo della sua idea di cinema e di mondo. Dato che la trama evoca “cannibali” e psicologie deviate (?), niente a che vedere con l’orrore patinato de “Il silenzio degli innocenti”, in “Divorati” sono diversi l’approccio, il taglio, il peso specifico.
Un esempio per tutti: il presunto cannibale-uxoricida è un intellettuale dal fascino luciferino - il carismatico Aristide Arosteguy -, interessato alla promiscuità sessuale quanto agli studi sulla mercificazione, per cui (ideona!) anche il gesto di uccidere e cibarsi della moglie (Cèlestine, intellettuale a sua volta: un’irriverente richiamo alla coppia Sartre- De Beavoir?) potrebbe connotarsi come simbolico: il corpo della donna reificato a merce da consumare, divorare, appunto (mai impelagarsi troppo tra i pretesti palesi e reconditi dei maitre a penser).
Sulle tracce del professore-latitante si mette Naomi - prototipo classico di fotogiornalista di “nera” ai tempi del web -, fidanzata con licenza di libertinaggio di Nathan, fotogiornalista a sua volta (in ambito medico), impegnato a tampinare dapprima un controverso chirurgo in quel di Budapest, quindi (causa rara malattia venerea contratta attraverso amplesso con moribonda) uno scienziato altrettanto controverso (lo scopritore della suddetta malattia) con figlia-cavia a carico.
Alla fine i nodi verranno tutti al pettine (ma chissà poi se fino in fondo: Celestine è davvero morta? Cos’è vero e cosa invece frutto di artefazione tecnologica?), al punto che le due storie parallele verranno a combaciare in un intreccio paranoico-cospirativo che lega mezzo mondo e i protagonisti principali del romanzo. E a questo punto ditemi se non sembra anche a voi di essere stati precipitati nel bel mezzo dell’universo-Cronenberg, un universo senza vie di uscita, se non alla fine dell’ultima riga di un thriller filosofico, personalissimo e potente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Divorati
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