Celebriamo Victor Hugo per i suoi grandi romanzi, pietre miliari della letteratura mondiale; eppure è nella poesia che lo scrittore francese ci restituisce l’afflato della sua anima e anche la propria più intima e nascosta esperienza autobiografica, che passa sempre in secondo piano rispetto alle sue opere e, invece, nelle liriche emerge con prepotenza.
Ne è prova la poesia Domani all’alba (titolo originale Demain, dès l’aube), dedicata dall’autore all’amata figlia Léopoldine, scomparsa prematuramente nel 1843 a diciannove anni.
Questa lirica, contenuta nella raccolta Les contemplations (1856), ci restituisce un dialogo intimo e struggente. Le parole tentano di formulare la conversazione con un’assenza e sembrano valicare un confine, superare un limite intangibile tra il regno dei vivi e il regno dei morti simboleggiato metaforicamente dalla luce dell’alba che rischiara la campagna con un bagliore diafano.
L’intensa lirica di Hugo si leva come un urlo rivolto al cielo: tenta di sovvertire le regole del destino, di ribaltare le infide logiche che governano la vita e la morte strappando persino le creature più giovani e innocenti alla vita, ma infine ecco che l’impeto iniziale si appiana in un discorso descrittivo raffigurando un uomo con la schiena curva che, pensoso, cammina verso la luce cercando di dissipare le tenebre del suo cuore.
Domani all’alba è una delle poesie più celebri di Hugo, viene studiata nelle scuole francesi e fu musicata e interpretata dal cantante Marc Robine nell’album A l’enseigne du temps perdu (2003).
Scopriamo testo, traduzione e analisi della poesia di Victor Hugo e la vera storia di Léopoldine.
“Domani all’alba” di Victor Hugo: testo
Domani all’alba, nell’ora in cui biancheggia la campagna,
partirò. Vedi, so che mi aspetti.
Vagherò attraverso la foresta, vagherò per la montagna.
Non posso restare lontano da te più a lungo.Camminerò con gli occhi fissi sui miei pensieri,
senza vedere niente al di fuori, senza sentire alcun rumore,
solo, sconosciuto, la schiena curva, le mani incrociate,
triste, e il giorno per me sarà come la notte.Non guarderò né l’oro della sera che tramonta,
né le vele che in lontananza discendono verso Harfleur
e quando arriverò, metterò sulla tua tomba
un mazzo di agrifogli verdi e di erica in fiore.
“Domani all’alba”di Victor Hugo: testo originale francese
Demain, dès l’aube, à l’heure où blanchit la campagne,
Je partirai. Vois-tu, je sais que tu m’attends.
J’irai par la forêt, j’irai par la montagne.
Je ne puis demeurer loin de toi plus longtemps.Je marcherai les yeux fixés sur mes pensées,
Sans rien voir au dehors, sans entendre aucun bruit,
Seul, inconnu, le dos courbé, les mains croisées,
Triste, et le jour pour moi sera comme la nuit.Je ne regarderai ni l’or du soir qui tombe,
Ni les voiles au loin descendant vers Harfleur,
Et quand j’arriverai, je mettrai sur ta tombe
Un bouquet de houx vert et de bruyère en fleur.
“Domani all’alba” di Victor Hugo: analisi e commento
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Domani all’alba è la poesia XIV della sezione Pauca meae, il quarto libro della raccolta Les contemplations (1856), una sorta di autobiografia in versi composta da Hugo durante l’esilio.
Il titolo latino della sezione può essere tradotto come “alcuni versi per mia figlia”.
Questa poesia di Victor Hugo rappresenta un esempio di perfezione formale e strutturale, ma nell’analisi non possiamo esimerci dal sottolineare la forte matrice autobiografica all’origine dell’opera che viene sottolineata nello stesso componimento con l’anafora marcata della prima persona singolare “Je” e il conseguente verbo d’azione. Già nella seconda strofa assistiamo a un rovesciamento e l’azione, apparentemente attiva e esteriore, si rivela essere soprattutto passiva e interiore come rimarcato dal verso “gli occhi vissi sui miei pensieri” e la poesia si presenta infine come una meditazione sul dolore e una sofferta elaborazione del lutto. Nonostante l’andamento descrittivo, dunque, la cornice della lirica si prefigura come prettamente interiore; è tutta penetrata nell’anima del poeta.
La natura stessa si fa riflesso di uno stato d’animo, come indica il verso centrale che anticipa il capovolgimento della tematica:
E il giorno per me sarà come la notte.
Sin dall’apertura, la poesia si configura come un dialogo tra un “je” e un “tu”, sembra rispondere a una corrispondenza amorosa "ti vedo mentre tu mi aspetti", eppure presto ci viene rivelato che l’io è “solo” e “triste” e dunque quella prefigurata è una conversazione con un’assenza, abitata da ricordi cui è impossibile sfuggire.
La rivelazione avviene nell’ultima strofa con quella parola definitiva: “tombe ” che ci indica la triste meta del pellegrinaggio del poeta facendo sfumare l’ambiguità romantica sulla quale si era retto in precedenza il componimento.
Appaiono finalmente chiari gli aggettivi scelti dal poeta per definirsi: “triste”, “solo” e infine “sconosciuto”, come se il forte dolore gli avesse fatto smarrire persino la sua identità, in questo caso la sua identità di padre. Il viaggio compiuto da Hugo dunque non è uno spostamento reale, ma un pellegrinaggio spirituale, quasi mistico, come è simboleggiato dalla luminosità perlacea dell’alba che getta su ogni cosa un bagliore radiante, una sorta di luce retrospettiva offerta dalla memoria e dal ricordo.
Léopoldine non viene mai nominata, ma è lei la dedicataria della lirica: la figlia primogenita di Victor Hugo morì il 4 settembre 1843 annegando nella Senna nei pressi della località normanna di Villequier. Scopriamo la sua storia.
La storia di Léopoldine, la figlia primogenita di Victor Hugo
Léopoldine Hugo morì giovanissima in un tragico incidente, non aveva nemmeno compiuto vent’anni ed era incinta del primo figlio che aveva promesso di chiamare “Victor” in onore dell’adorato padre. La scomparsa della primogenita fu un dolore devastante nella vita di Victor Hugo, dal quale il poeta non trovò mai pace.
Il fatto più agghiacciante della triste vicenda è che Hugo apprese la tragica notizia alcuni giorni dopo il fatto, il 9 settembre 1843, leggendo il titolo di un giornale, Le Siècle, mentre sedeva presso il Café de l’Europe, in Spagna, con la sua amante Juliette Drouet. Il titolo del giornale era inequivocabile e fu un colpo al cuore per lo scrittore:
LEOPOLDINE HUGO SE NOIE À VILLEQUIER AVEC SON MARI
La giovane Léopoldine annegò nella Senna insieme al marito, Charles Vacquerie, in seguito al ribaltamento della piccola imbarcazione sulla quale viaggiavano. La coppia si stava recando dal notaio per firmare dei documenti, in seguito al matrimonio. Pare che Charles dovesse recarsi da solo all’appuntamento presso Maître Bazine ma, per un tragico scherzo del destino, Léopoldine decise all’ultimo di accompagnarlo inseguendolo di corsa lungo la strada. Il viaggio di andata filò liscio, ma al ritorno la fragile imbarcazione della coppia fu travolta da forti venti: Léopoldine cadde in acqua, non sapeva nuotare, e il marito si gettò nel fiume cercando di salvarla. Quando Charles capì che non poteva trarre in salvo in alcun modo Léopoldine decise di lasciarsi annegare sprofondando nell’acqua perché non poteva immaginare una vita senza di lei.
Ora Léolpoldine e suo marito Charles riposano insieme nel cimitero di Villequier, in quella tomba che fu la meta del pellegrinaggio spirituale di Victor Hugo. Pare che lo scrittore vi si recasse ogni giorno, come se dovesse espiare una colpa su quella lapide; quando l’esilio gli rese impossibile recarsi alla sua meta, l’autore vi tornò con il pensiero dedicando poesie alla memoria della figlia, tra cui la celeberrima Domani all’alba e À Villequier e un’altra tenera lirica, La Rose de l’Infante, dedicata al ricordo di Léopoldine bambina.
Nella casa museo di Victor Hugo a Parigi, in zona Place des Vosges, sono conservati numerosi ritratti di Léopoldine e persino il suo abito di nozze e la sua corona da sposa, composta di rose bianche ormai appassite come la giovinezza perduta della figlia primogenita del grande scrittore francese.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Domani all’alba”: la poesia di Victor Hugo dedicata alla figlia Léopoldine
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