La storia delle donne è una lunga strada in salita lastricata da pregiudizi e stereotipi. Ce lo racconta Dacia Maraini nel libro Donne mie (Einaudi, 1974) in cui presenta un excursus nella vita della donna, raccontando le lotte per affrancarsi attraverso riferimenti letterari, citazioni e poesie.
Una lettura imprescindibile in occasione dell’8 marzo che ci spinge a riflettere su quanta strada è stata fatta nell’affermazione dei diritti della donna e su quanta, ancora, ce ne sia da fare.
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Il fil rouge che lega tra loro i testi contenuti nel libro è la condizione di frustrazione e di alienazione vissuta dalle donne nella società contemporanea: con le sue poesie Dacia Maraini compone un grido di lotta e invita le donne a riscattarsi.
Le poesie contenute in Donne mie furono scritte nel 1974, dunque in piena ondata femminista, proprio mentre le donne iniziavano a interrogarsi su sé stesse e sulla loro posizione nella società. Maraini tramuta queste riflessioni in versi che ora, che sono trascorsi più di quarant’anni, non cessano di interrogarci. Ne risulta un’analisi sincera in chiave poetica che traduce un vortice di pensieri in materia viva, bollente, capace di indagare a fondo i problemi del genere femminile in questo e in ogni tempo.
Nel giorno della Festa della donna vi invitiamo a leggere una poesia significativa: Donne mie illudenti e illuse (1974).
“Donne mie illudenti e illuse” di Dacia Maraini: testo
Donne mie illudenti e illuse che frequentate le università liberali,
imparate latino, greco, storia, matematica, filosofia;
nessuno però vi insegna a essere orgogliose, sicure, feroci, impavide.A che vi serve la storia se vi insegna che il soggetto
unto e bisunto dall’olio di Dio è l’uomo
e la donna è l’oggetto passivo di tutti
i tempi? A che vi serve il latino e il greco
se poi piantate tutto in asso per andare
a servire quell’unico marito adorato
che ha bisogno di voi come di una mamma?Donne mie impaurite di apparire poco
femminili, subendo le minacce ricattatorie
dei vostri uomini, donne che rifuggite
da ogni rivendicazione per fiacchezza
di cuore e stoltezza ereditaria e bontà
candida e onesta. Preferirei morire
piuttosto che chiedere a voce alta i vostri
diritti calpestati mille volte sotto le scarpe.Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite,
sappiate che se volete diventare persone
e non oggetti, dovete fare subito una guerra
dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma
contro voi stesse che vi cavate gli occhi
con le dita per non vedere le ingiustizie
che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, delle rivali,
degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria
tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l’idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio
solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so)
un amore senza scelte, istintivo e brutale.Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura.
“Donne mie illudenti e illuse” di Dacia Maraini: analisi e commento
Donne mie illudenti e illuse appare fin dal principio come un grido di lotta: Maraini invita le donne a indire una “guerra grandiosa” contro gli stereotipi e i pregiudizi che le hanno a lungo soffocate in una condizione di inferiorità.
La guerra femminista predetta da Maraini deve essere praticata, però, su più fronti: innanzitutto non è una guerra da praticare contro gli uomini, ma contro sé stesse, contro la propria coscienza avvelenata da false immagini di sé.
La poesia si rivolge, sin dal titolo, un destinatario designato: “le donne illudenti e illuse” che paradossalmente sono proprio le più studiose, le più intelligenti, le più brillanti, quelle che conoscono il latino e il greco e la storia, ma vengono poi schiacciate nella loro dignità dallo stivale del patriarcato. Lo studio non serve, ammonisce Maraini, se non insegna alle donne l’orgoglio, il coraggio, la sicurezza di essere pienamente sé stesse.
Qui in parte la poesia risente del periodo in cui è stata scritta perché si fa riferimento al matrimonio come unica “possibilità sociale” per la donna: persino le più studiose, che hanno studiato all’università, infine si appiattiscono nel ruolo di donna “madre e moglie” in conformità all’ideologia dominante che le vuole in un certo senso “madri” del proprio marito. Su questo punto, credo, sono stati fatti dei passi avanti.
Ma la parte attuale - e determinante - della rivendicazione di Maraini risiede nella richiesta posta alle donne di essere un “soggetto pensante” e di non ridursi mai a “oggetto passivo” di desiderio come a lungo sono state considerate. A tal proposito Maraini pone anche un riferimento biblico che vede “l’uomo unto e bisunto dall’olio di Dio” e la donna nel ruolo della peccatrice-tentatrice. Da quella visione del mondo a lungo perpetrata sotto varie forme le donne sono segretamente impaurite: si sentono sempre in difetto, inferiori, nonostante gli studi, le capacità e i talenti. Sono dunque donne “illudenti e illuse” perché riflettono un’immagine errata di sé: un riflesso distorto che è stato attribuito loro dalla società e da una visione del mondo che è stata, a lungo, prettamente maschile.
L’appello che Maraini rivolge loro è quello di diventare persone e non oggetti: pone l’accento sull’essenza che è una caratteristica spesso troppo poco considerata dell’essere femminile che, per tradizione, deve essere votato all’apparenza, all’arte dell’inganno e della seduzione. Il punto non essere ciò che la società si aspetta, afferma Dacia Maraini, non bisogna corrispondere a un ideale.
La scrittrice chiede alle donne di guardare finalmente in faccia la realtà, di reagire ai torti e alle giustizie che ogni giorno vengono praticate nei loro confronti sia in ambito sentimentale che professionale.
Ingiustizie che si travestono da invidie, ingiurie, tradimenti e, infine, assumono l’immagine dell’Idolo donna - che viene presentata come una Dea distesa in un letto di rose - venerata e amata dalla società tutta. È lei, l’immagine della “Donna Dea votata all’amore”, il primo pregiudizio da abbattere: una donna non umana, senza gambe e senza braccia, ma con il petto ricoperto di collane scintillanti.
Dacia Maraini chiede alle donne di abbattere l’Idolo della Donna Dea e di essere sé stesse: la poesia si conclude con un’accorata invocazione alla libertà. Ciò che la scrittrice chiede alle donne è un atto di coraggio per uscire dalla rete del pregiudizio che le ha intrappolate: devono essere senza paura, forti, sicure e unite le une con le altre nell’affrontare il cambiamento.
Maraini chiede al suo esercito scintillante di donne battagliere di apprendere una materia che non si insegna a scuola né si apprende sui libri, ma è molto utile nella vita: l’arte di essere impavide.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Donne mie illudenti e illuse”: la poesia di Dacia Maraini da leggere l’8 marzo
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