Dopo Caporetto. L’amministrazione del Friuli occupato da novembre 1917 a ottobre 1918
- Autore: Luca Maurino
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Le intere province di Udine e Belluno, parte del Trevigiano e in misura minore del Vicentino orientale: è l’ampio territorio conquistato dagli Imperi centrali dopo la rotta di Caporetto e la rovinosa ritirata italiana dal fronte alpino-carnico-carsico.
Un’area sottoposta per un anno all’amministrazione degli occupanti, dal novembre 1917 alla resa austro-ungarica dell’autunno successivo.
Basandosi su atti di fonte imperiale, il recente contributo di un valido ricercatore, Luca Maurino, s’impegna a verificare l’attività svolta nelle retrovie del fronte del Piave in quei dodici mesi. Le edizioni romane IBN lo hanno pubblicato a luglio, con il titolo Dopo Caporetto. L’amministrazione del Friuli occupato da novembre 1917 a ottobre 1918 (collana Pagine Militari “n. 59”, con numerose immagini in bianconero nel testo, 124 pp.), un lavoro basato sulla relazione del maggior generale Hermann Leidl, capo del Dipartimento amministrativo del Comando Gruppo d’armate del feldmaresciallo Svetozar Boroevic von Bojna.
A un secolo abbondante dalla fine della Grande Guerra, si attendeva ancora che la storiografia si interessasse di quel periodo e di quelle terre allora invase, dal punto di vista dell’occupante, impegnato nel governo militare e civile-amministrativo di un territorio nel quale riteneva di essere rientrato legittimamente, dopo mezzo secolo. Solo nel 1866 i trattati di pace lo avevano trasferito al Regno d’Italia alleato della Prussia.
Erano caduti e tenuti in mano nemica, non solo tutte le zone confinarie strappate dai nostri nelle undici offensive sull’Isonzo, anche il Friuli e il Veneto a est del Piave, per un’estensione che andava dai 140 ai 110 km. Una multiregione che per due anni e mezzo aveva già sopportato il peso del fronte, delle retrovie, di centinaia di migliaia di uomini. Un territorio ora parzialmente svuotato dall’esodo dei profughi, che si erano mossi verso occidente insieme alle nostre truppe in ritirata. Erano rimaste comunità rarefatte, in cui le istituzioni statali e municipali risultavano azzerate. Per i comandi austro-ungarici si trattava anzitutto di ristabilire l’ordine e di mantenerlo, quindi di riorganizzare alla svelta un apparato politico, giudiziario e amministrativo. Contemporaneamente, andava recuperato il bottino di guerra e sfruttate le risorse del territorio, specialmente quelle agricole, da mettere a disposizione dei propri eserciti e della popolazione nell’Impero affamato. Così come occorreva attivare un’azione di polizia, di censura e di controspionaggio, vista l’attività insistente di una rete di agenti italiani infiltrati.
L’autore lo descrive come un mondo alla rovescia per un occupante impoverito da anni di blocco navale, alle prese con l’esigenza di provvedere alla fame endemica al proprio interno e a quella recente degli occupati, ora costretti a loro volta alla “disperata lotta per la sopravvivenza”.
Lo studio è quindi di elevato interesse e oggettivo pregio storiografico. Come ulteriore motivo d’attenzione va sottolineato, peraltro, l’inaspettato taglio polemico che il prof. Paolo Pozzato ha voluto imprimere alla prefazione all’ottimo lavoro “del giovane quanto valente studioso Luca Maurino”.
Lo storico militare bassanese condanna come un’occasione mancata il recente centenario delle celebrazioni del primo conflitto mondiale. È stato speso con una messe di studi in cui la vicenda di Caporetto l’ha fatta da padrone. Al prima e al dopo ci si è dedicati meno. I due anni di lotte carsiche sono rimasti fermi al connotato dell’ “inutile strage”, come se altre guerre fossero utili. Ci si è soffermati sul biasimo per Cadorna e le cocciute offensive frontali, prodighe di perdite ma sterili di risultati. Quanto all’ultimo anno di guerra, abbandonati i miti tradizionali - a cominciare dai ragazzi del ’99 e dalle acque del Piave schierate affianco ai fanti italiani - si è autolesionisticamente tacitata l’offensiva di Vittorio Veneto (contrastata con forza, per almeno cinque giorni, da un nemico ancora combattivo).
“Una presa in esame tanto pudica”, da far dubitare perfino che l’Italia avesse concluso il conflitto con una vittoria militare, rileva Pozzato. E non gli si può che dare ragione.
Se i nostri storici non insistono sulla vittoria, che dall’altra parte del fronte sono stati sempre restii a riconoscere, ingiustificatamente, figurarsi se gli studiosi internazionali, ancorché neutrali siano incentivati a celebrarla.
Al di là dell’insoddisfazione lasciata, soprattutto fra gli studiosi, da un ciclo di commemorazioni che avrebbero potuto dare di più e non hanno dato, un segno positivo è rappresentato proprio da approfondimenti come questo, che allargano la prospettiva dalla bellico-militare al coinvolgimento della popolazione civile. Ambiti sociali estranei alla chiamata alle armi, prima trascurati se non proprio negletti, come quello rurale e ancora più quello cittadino, hanno visto crescere notevolmente l’attenzione dedicata loro. Tanto, non solo in ambito nazionale, anche se non addirittura soprattutto in ambito veneto.
Hermann Leid (1871-1962), docente dell’Accademia militare e ufficiale di fanteria, fu sul fronte serbo e partecipò alla Strafexpedition su quello italiano nella primavera 1916. Raggiunse il grado di general major all’inizio del 1918 e reparti del suo reggimento presero parte alla fallita offensiva di giugno contro l’Italia.
Nell’ottobre 1918 difese sul Piave un fronte largo un chilometro e mezzo a Borgo Malanotte. Il 3 novembre, anche le sue truppe ricevettero l’ordine di cessare i combattimenti.
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