E se non partissi anch’io
- Autore: Lia Levi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: E/O
- Anno di pubblicazione: 2024
E se non partissi anch’io (e/o, 2024) è il nuovo romanzo di Lia Levi, giornalista, sceneggiatrice e scrittrice nata a Pisa da una famiglia piemontese di origine ebraica e residente a Roma, fondatrice e direttrice per trent’anni del mensile “Shalom”.
È proprio così che è nato l’ebraismo, con un continuo strappo dalla terra natia alla ricerca di un futuro nuovo. Abramo con Dio che gli ordina: “Prendi le tue cose e vattene”, e Giacobbe che fugge da casa e si arrangia a dormire su un prato con una pietra a fargli da cuscino, Mosè che trascina via dalla schiavitù d’Egitto i suoi ebrei e gli fa addirittura attraversare a piedi un intero mare. Ecco cosa ci racconta la Torah.
Dunque, aprirsi alle cose del mondo, partecipare con il proprio modo di essere e le proprie idee a una società in progresso.
Roma, primi anni del XX Secolo. L’antiquario Benedetto Sabatello cercava di spiegare a sua moglie Rosina che era appena sorta l’alba di un mondo nuovo, dove la loro figlia Ida, intelligente e volenterosa adolescente, sarebbe stata una delle protagoniste. Le donne non avevano più voglia di vivere all’ombra dei loro compagni, la loro autodeterminazione passava attraverso la ricerca di un impiego mentre gli uomini si trovavano al fronte, impegnati a difendere con il proprio sangue i confini della Patria. Del resto, non si poteva restare a guardare.
Addio, mia bella, addio: l’armata se ne va; se non partissi anch’io sarebbe una viltà!
il canto risorgimentale, scritto nel 1848 da Carlo Alberto Bosi con lo pseudonimo Basocrilo fiorentino, anche noto come l’Addio del volontario ora tornato in voga, ricordava che l’Italia fosse ancora divisa tra socialismo pacifista e interventismo patriottico. Le cose erano iniziate a cambiare ai tempi di Michele, padre di Benedetto Sabatello, quando gli ebrei romani erano ancora premurosamente tenuti rinchiusi in un recinto circondato da robuste cancellate.
Michele aveva dovuto aspettare suppergiù i suoi vent’anni prima che un correligionario, a nome Giacomo Segre, capitano d’artiglieria dell’esercito sabaudo, facesse partire da Porta Pia (20 settembre 1870) la raffica simbolo dell’attacco allo Stato Pontificio. Così era arrivata la “libertà!” anche per gli ebrei romani, niente più cancelli che ti rinchiudevano come in prigione, niente più divieti. Si poteva partecipare tranquilli e festanti alla vita di tutti.
Erano stati in molti a iscriversi nelle scuole, a presentarsi in posti di lavoro, a aderire di corsa a un partito politico. Molti, ma non tutti. Il ghetto era anche stata una culla, scomoda e dura ma pur sempre una culla, un rifugio quasi atavico. Quasi cinquant’anni dopo, la nipote di Michele, Ida, insieme ai loro amici Vanessa (madre femminista, padre artista più la governante, Miss Kilman, che si batteva per i diritti dei poveri e delle donne) e Andrea, erano consapevoli che bisognava aprirsi a una società in cambiamento, essere pronti ad accogliere altri punti di vista. Finalmente si incominciava a capire che le donne erano al pari degli uomini e, per esempio, negare loro il diritto di voto era una vera offesa alla civiltà. Ida sarebbe stata costretta a dibattersi fra modernità e tradizione anche sul piano dei sentimenti.
Il bel romanzo di Lia Levi dimostra che ieri come oggi per una donna scegliere un’attività lavorativa spesso coincide con l’abbandono di una vita di coppia. Significativa in questo senso la copertina del libro, che raffigura l’olio su tela di Antonio Donghi, La sposa (1926).
Un romanzo che fa anche riflettere su quello che sta accadendo in un Medio Oriente in fiamme.
Gli ebrei nei secoli sono stati sempre perseguitati, costretti alla fuga, uccisi nel peggiore dei modi. Potevano convertirsi, diventare come gli altri, mischiarsi. Non l’hanno fatto. Senza forse rendersene conto, sono diventati il simbolo dei diritti del “diverso”.
E se non partissi anch'io
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