Ogni anno il 20 agosto mi trovo a riflettere su un triste anniversario, più triste ancora per la città di Napoli, legato ad un evento cruciale della storia italiana e meridionale in particolare e troppo spesso dimenticato dai nostri libri di storia. Il 20 agosto 1799, in Piazza del Mercato a Napoli, davanti l’antichissima Chiesa del Carmine, veniva giustiziata una fra le donne più colte e coraggiose che la nostra storia abbia mai conosciuto: Eleonora de Fonseca Pimentel.
Eleonora de Fonseca Pimentel era un’esponente di spicco della breve Repubblica Partenopea, nella quale fu affiancata da altri rappresentanti della migliore e più illuminata cultura meridionale, si pensi a Vincenzo Cuoco, futuro autore del Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli (1800), in cui narrò appunto della breve vita di quel sogno politico e culturale; Mario Pagano, grande giurista; il medico Domenico Cirillo. Eleonora de Fonseca Pimentel, la cui famiglia era di nobili origini portoghesi, era giunta a Napoli da Roma (dove era nata nel 1752) e aveva alle spalle una triste vicenda matrimoniale e la morte del suo unico bambino - eventi descritti con commossa partecipazione da Enzo Striano nel suo bellissimo Il resto di niente (1986).
Donna straordinariamente colta, ammirata dal Metastasio e da Voltaire, nota negli ambienti letterari per i suoi scritti e i suoi versi, fu per un periodo responsabile della Biblioteca borbonica e benvoluta alla Corte di Re Ferdinando, ma nel 1798, in un clima di tensione dovuto al diffondersi di sentimenti rivoluzionari, che in Italia dilagarono sull’onda dell’influsso francese e che portarono alla nascita delle cosiddette Repubbliche giacobine, la Pimentel venne arrestata dopo che furono trovate in suo possesso opere francesi e comunque classificate come proibite. Fu liberata nei confusi giorni in cui, fuggiti il Re e la Corte e giunti i Francesi alle porte di Napoli, per la città dilagava quella Rivoluzione che il 21 gennaio 1799 avrebbe portato alla proclamazione della Repubblica.
Eleonora fu la regina di quei giorni, l’esponente più luminoso di quella classe culturale che pensava di avere realizzato un sogno e s’impegnò in prima persona nell’organizzazione del nuovo Stato a testa alta e senza temere ripercussioni o vendette. Lo fece nel modo migliore, scrivendo, partecipando alla creazione e redigendo lei stessa il Monitore Napoletano, il giornale ufficiale della Repubblica impostato sulla falsariga de Le Moniteur francese e nel quale esprimeva con lucidità e coraggio i suoi giudizi, le sue speranze, le sue idee. Il Monitore uscì fino ai primi giorni di giugno (35 numeri in tutto, l’ultimo è dell’8 giugno, cinque giorni prima dell’ingresso dell’Esercito della Santa Fede a Napoli e del crollo della Repubblica) ed Eleonora vi stava ancora lavorando quando i primi scontri tornarono ad insanguinare le strade della città.
Pochi giorni dopo, insieme agli altri rivoluzionari, Eleonora de Fonseca Pimentel venne catturata e, dopo l’iniziale promessa di aver salva la vita grazie alla concessione dell’esilio, fu imprigionata e fu decretata la sua morte, fissata per il 20 di agosto.
Quella mattina, dopo aver chiesto di poter bere un ultimo caffè, la Pimentel uscì con la dignità e l’eleganza che l’avevano sempre caratterizzata dal portone della Vicaria e seguì il corteo con gli altri condannati fino alla Piazza del Mercato, in mezzo ad una folla urlante e assetata di sangue. Fu l’ultima a salire sul patibolo quel giorno, poiché la sua esecuzione era la più attesa. Per lei fu decretata l’impiccagione, ultimo insulto a una donna immensa, in quanto essendo di famiglia nobile avrebbe dovuto essere decapitata. Salita sul palco guardò con tristezza quella folla per la quale aveva sperato di costruire uno Stato migliore e rivolse loro, come sue ultime parole, un verso di Virgilio che racchiudeva in sé la sua ultima speranza:
Forsan et haec olim meminisse iuvabit... (forse un giorno gioverà ricordare tutto questo).
Oggi quel grido risuona ancora in quella piazza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La storia di Eleonora de Fonseca Pimentel e del Monitore Napoletano
La perdurante attuale mancanza d’istruzione e di cultura e di associazioni popolari per l’istruzione popolare - del tipo "Scuola di Barbiana" di don Lorenzo Milani e dei suoi grandi allievi, ancora attivi nel sociale - , impediscono a molti di conoscere il passato del proprio popolo e di vivere una vita più degna, ricca di ideali e di corresponsabilità nella cosa pubblica, Eleonora De Fonseca Pimentel illumina con la sua luce coraggiosa e intrepida la storia napoletana migliore e demonizza per sempre il sanfedismo becero tipico dell’ignoranza popolare che l’ha portata alla forca quel tristissimo 20 agosto di 220 anni fa ...