Elio, l’ultimo dei Giusti
- Autore: Frediano Sessi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2017
Elio non era fascista né antifascista. I neri non gli garbavano, ma non era salito a combatterli sui monti sopra Firenze, come avevano fatto altri, che parlavano di libertà. Non era un partigiano, ma quando c’era da aiutare i ribelli dei boschi non si tirava indietro. Elio Bartolozzi aveva vent’anni nel 1944, quando ha fatto silenziosamente quanto aveva ritenuto giusto fare. La sua scelta coraggiosa e mai conosciuta è stata riscoperta da Frediano Sessi. Lo scrittore mantovano di vicende di quel periodo del ‘900 la racconta in un libro, apparso ad agosto nella collana Gli specchi delle edizioni Marsilio, “Elio, l’ultimo dei Giusti. Una storia dimenticata di resistenza” (pp. 160, euro 15,00).
Il terzo dei ragazzi Bartolozzi non era andato in guerra, perché vedeva da un occhio solo, il sinistro lo aveva perso a sei anni, per un incidente di gioco. È la guerra che lo ha raggiunto. La povera gente come lui se la ritrova sempre addosso, perfino a Ceppeto, sulle pendici del Monte Morello.
Con la guerra era arrivata la fame, insieme alla violenza, ai soprusi, alle delazioni, alle botte. In zona, gli uni erano contro gli altri. E anche a chi come Elio non aveva simpatie per gli uni o gli altri, il maresciallo dei Carabinieri ricordava che non poteva sottrarsi, doveva stare da una parte o dall’altra. Se non sei col Fascio, sei contro. Punto e basta.
Contadino da dieci anni, sapeva tirare fuori dalla terra quello che serviva per vivere, ma era dura. Ed era pericoloso tenere nascosto in soffitta il fratello Gino, che tornato dalla Russia non ne aveva voluto sapere più di uniformi e alla leva dell’esercito di Salò aveva risposto eclissandosi, anche se sapeva di mettere in ballo la vita, sua e di chi lo aiutava.
Di quei tempi, era tutto capovolto: i fascisti cercavano giovani da far morire per servire i tedeschi e chiamavano “banditi” i ragazzi ch’erano andati in montagna a battersi contro i tedeschi. In poco tempo, le parti si erano rovesciate: chi difendeva la sua patria e la sua terra era un fuorilegge, chi la schiacciava con l’aiuto di un invasore si considerava un italiano vero.
In quel clima di sgomento era facile restare disorientati e molti restavano in attesa, opponendo una resistenza solo interiore o tutt’al più familiare, manifestata solo tra le mura di casa.
Nell’aprile del 1944, i partigiani riportano perdite assaltando la stazione di Montorsoli. Alle 22, qualcuno bussa al cascinale dei Bartolozzi: chiede ad Elio di portare coi buoi due feriti gravi a tre chilometri di distanza, a casa di uno fidato. A domandarlo è un contadino del vicinato. Sostiene di non poterci andare lui, ha bestie troppo stanche.
Elio va. Ritorna. Si corica. E viene svegliato da una calca di repubblichini, picchiato, messo alle strette per indurlo a confessare. Con loro c’è quel contadino delle bestie stanche. Ha condotto lui i fascisti al cascinale.
Ma Elio non parla. Dice che i partigiani lo hanno minacciato, gli hanno fatto lasciare i feriti a un crocicchio di quattro strade e poi l’hanno cacciato via. Aggiunge di non sapere dove siano andati dopo.
“Mi hanno costretto con le armi, come state facendo voi”.
Lo trasferiscono a Firenze, prima dagli aguzzini della Banda Carità, a Villa Triste, poi nel carcere delle Murate. Botte, ceffoni, torture. Non cambia versione. È ridotto male, ma non molla.
Lo consegnano ai tedeschi. Gli tocca la detenzione nel lager di Fossoli, in provincia di Modena, ma è solo di passaggio, prima di arrivare a Mauthausen, in Austria, affrontando tante tappe e tanti pericoli.
Trascorre una settimana, giorni uno peggiore dell’altro, cibo scarso e cattivo, poi si presentano alcuni ufficiali SS che hanno bisogno di braccia. Significa spostarsi nel campo di lavoro di Gusen, a spalare materiale in galleria, ricambiati a pedate, schiaffi, pugni e frustate.
Così fino all’arrivo degli Alleati. Nel maggio 1945 gli danno finalmente un documento. A fine giugno è a casa.
Dal 25 aprile 1973, a Montorsoli, una targa in memoria dei ribelli morti ricorda lo scontro armato tra fascisti, tedeschi e giovani partigiani, ma non reca il nome di Elio. Eppure era stato parte attiva in quell’azione e se avesse parlato, anche altri sarebbero morti. Non lo ha fatto, ma nessuno si ricorda di lui, nessuno conosce le sue sofferenze.
Lui sa chi è il contadino che lo ha denunciato. Lo ricorda bene, che diamine. Lo vedeva alla messa tra i banchi della chiesa e in cuor suo sapeva che non lo avrebbe mai smascherato. Nemmeno lo voleva salutare. Per lui la cosa era finita, com’era una pagina chiusa anche quello che da ventenne aveva fatto per i partigiani.
Alla morte di Elio, il feretro è stato accompagnato dalla famiglia e da alcuni amici. Nessuna bandiera dell’ANPI.
Le medaglie consegnate in vita gli sono state attribuite genericamente, per la deportazione, senza un riconoscimento della sua azione coraggiosa e rischiosa.
Andava fatto e lo aveva fatto. Bene così, secondo lui. Capitolo chiuso della vita del Bartolozzi, parola di Elio.
Elio, l'ultimo dei Giusti. Una storia dimenticata di resistenza
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