Elisabetta e il Conte di Essex
- Autore: Lytton Strachey
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2014
Nell’Inghilterra della metà del XVI Secolo “mentre lo spirito del Medioevo andava in pezzi”, una nuova classe aveva occupato il posto di quella composta di cavalieri ed ecclesiastici: una classe aristocratica creata dall’astuzia di Enrico VIII. Furono le grandi famiglie dei Russel, dei Cavendish, dei Cecil che finirono per sopraffare quello stesso potere che le aveva messe al mondo.
“Per molte generazioni queste famiglie furono l’Inghilterra, e anche oggi è difficile immaginarsela senza di loro”.
Questo cambiamento fu rapido e terminò sotto il regno di Elisabetta I (1533 – 1603), Regina d’Inghilterra e d’Irlanda dal 1558, ma quello spirito feudale non si estinse del tutto e continuò a brillare nella figura di Robert Deveraux, conte di Essex (1566 – 1601).
“La sua fiamma risplendette evocando i colori dell’antica cavalleria e lo sfavillio delle eroiche gesta del passato”
ma quella stessa fiamma fu presto spenta dalla “personalità barocca” della Regina Vergine, donna volitiva e ardita ma in fondo molto vulnerabile. La storia sulle tragiche vicende della caduta in disgrazia di Essex non fu altro, perciò, che il riflesso di un mondo ormai scomparso. Il padre di Robert Essex, William Deveraux, nominato Conte dalla stessa Regina era il discendente di tutte le grandi famiglie dell’Inghilterra medievale. L’uomo, partito per sottomettere l’Irlanda con “l’intraprendenza di un crociato”, sconfitto dagli intrighi di corte, dall’avarizia di Elisabetta e dalla ferocia dei patrioti inglesi, morì in rovina e con il cuore spezzato. Robert era quindi l’erede di un’illustre casata e il più povero conte del Regno. Il destino del ragazzo era stato influenzato fin dalla nascita: la madre, Lettice Knollys, era una rappresentante della nuova nobiltà, il padre, un discendente della vecchia. Robert, futuro favorito di Elisabetta, era cresciuto in campagna, dove aveva imparato ad amare la caccia ma adorava anche leggere. Abile nel maneggiare le armi, mandato in Olanda con il grado di generale al comando di un esercito, Essex tornò in patria sano e salvo. Qui il conte aveva subito iniziato a frequentare la corte, la Regina lo conosceva fin da bambino e aveva simpatia per lui. Non solo. Fu subito chiaro a tutti che quel giovane bello e seducente dal corpo slanciato, splendide mani e capelli castani ramati aveva affascinato Elisabetta.
“La Regina e il conte non si lasciavano mai. Lei aveva cinquantatré anni e lui neppure venti: una pericolosa differenza d’età”.
Elisabetta e il Conte di Essex (titolo originale del volume Elizabeth and Essex, traduzione di Maria Teresa Calboli), pubblicato nel 1928, è ora riproposto nella Collana Ritratti della casa editrice romana Castelvecchi.
Lytton Strachey (1880 – 1932), scrittore, critico letterario e saggista britannico, appartenente al cosiddetto gruppo di Bloomsbury, ritrae uno splendido affresco del periodo elisabettiano attraverso la descrizione di una liaison dangéreuse. Fu la politica e non l’amore a dominare l’intera esistenza di Elisabetta, mente furba in un mondo di maniaci violenti “tra forze contrapposte di terribile intensità: la rivalità tra i nazionalismi di Francia e Spagna, tra la religione di Roma e di Calvino”. In questi mari estremi e impetuosi dove la Regina affondò l’Invincibile Armata spagnola di Filippo II, “ragno tessitore dell’Escorial”, Elisabetta seppe destreggiarsi grazie alla sua famosa indecisione, al suo indugio e alla sua proverbiale avarizia. Proprio in quel momento storico l’Inghilterra scoprì di essere un Paese progredito, perché il segreto della condotta di questa Regina del Rinascimento profondamente laica nell’animo fu di guadagnare tempo. L’autore ricorda quanto fu decisivo per formare il carattere di Elisabetta il trauma subito durante l’infanzia: la morte tramite decapitazione di sua madre Anna Bolena ordinata da suo padre Enrico VIII. Infanzia e adolescenza orribili e singolari durante le quali Elisabetta
“un momento era l’erede al trono d’Inghilterra, e il momento dopo era una bastarda reietta”.
Con il suo infallibile istinto decise di non maritarsi mai:
“Odio l’idea del matrimonio, per ragioni che non racconterei nemmeno a un’anima gemella”.
La copertina, evocativa della storia di un idillio tempestoso, è di un ignoto autore di scuola inglese e ritrae Elisabetta I che osserva con un’espressione incuriosita e sottilmente beffarda, eterna immagine di magnifica regalità.
“Di certo, c’era in lei un che di sinistro, tradito dai gesti delle sue mani straordinariamente lunghe”.
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