"Chi d’Epitteto alle norme geniali s’adegua, sorride / come in calma bonaccia fra l’onde del pelago mare; / indi, compiuta di questa terrena esistenza la rotta, / giunge alla specola astrale dell’alta volta celeste".
Questo breve, anonimo epigramma, tratto dall’Antologia Palatina (e qui riproposto nella canonica versione di Filippo Maria Pontani), celebra Epitteto di Ierapoli (50-130), la cui figura, alla stregua di quelle di altri esponenti più o meno illustri del pensiero antico, è avvolta in una fitta penombra.
Chi era Epitteto?
Il problema delle fonti
Alle esigue notizie biografiche in nostro possesso si mescolano, già in età tardoantica e poi in epoca medievale, non poche deformazioni mitizzanti, scandite perlopiù da una reiterata antitesi, non priva di un icastico simbolismo, tra le patetiche condizioni esterne del filosofo (schiavo, storpio e indigente) e la sua proverbiale integrità morale.
Il problema delle fonti – scarse, fittizie o poco affidabili – rende estremamente spinosa la ricostruzione storica della biografia di Epitteto. L’unica testimonianza biografica di qualche rilievo, sia pure estremamente succinta, è conservata nell’enciclopedia bizantina Suda (X sec.). Informazioni sulla vita del pensatore stoico sono altresì desumibili dal commento al Manuale scritto dal filosofo neoplatonico Simplicio (V-VI sec.). D’altro canto, Diogene Laerzio, autore della celebre raccolta intitolata Vite e dottrine dei filosofi illustri, fonte ancora oggi preziosa per la ricostruzione del pensiero greco, accenna fugacemente a Epitteto; e quanto a Flavio Arriano, devoto discepolo e editore del filosofo stoico, egli non scrisse mai una vera e propria biografia del suo maestro.
La vita del filosofo
Epitteto nacque intorno al 50 d.C. a Ierapoli, nella Frigia meridionale. Secondo un’iscrizione metrica rinvenuta in Pisidia (Asia Minore), era figlio di una schiava; tuttavia, considerate le vaste zone d’ombra che avvolgono la vita del filosofo, è ragionevole supporre che, nato libero, Epitteto sia stato ridotto in servitù successivamente.
Giunto a Roma in età giovanile, Epitteto fu schiavo di Epafrodito, potente liberto e favorito dell’imperatore Nerone. Nell’Urbe il futuro filosofo poté ascoltare le lezioni del maestro stoico Musonio Rufo, ammirato per la rettitudine del suo temperamento e l’austerità dei suoi costumi. È verosimile ipotizzare che proprio Musonio abbia ispirato l’approccio spiccatamente pratico che in seguito avrebbe connotato gran parte della riflessione filosofica di Epitteto, ampiamente focalizzata sul problema della condotta morale dell’uomo.
Non conosciamo con esattezza l’anno in cui Epitteto fu affrancato da Epafrodito; e parimenti ignoriamo l’inizio della sua attività come maestro stoico. Quello che sappiamo è che nel 93, già abbastanza noto negli ambienti colti della capitale, Epitteto fu colpito dal bando di espulsione di filosofi, scienziati e astrologi decretato dall’imperatore Domiziano.
Il pensatore si trasferì allora in Epiro, a Nicopoli, e qui fondò una scuola che conobbe una notevole risonanza e un buon numero di allievi. Epitteto morì in tarda età, tra il 125 e il 130, durante l’impero di Adriano.
Le opere di Epitteto
È un’ipotesi tutt’altro che peregrina presumere che Epitteto abbia fissato per iscritto le proprie dottrine. Quel che è certo, in ogni caso, è che il filosofo decise di non destinare nessuno dei suoi lavori alla pubblicazione. Questa meditata indifferenza alla gloria letteraria lo avvicina, in parte, ad altri grandi filosofi greci, da Socrate a Diogene a Pirrone, il cui magistero si svolse all’insegna dell’oralità.
Le opere che resero il nome di Epitteto celebre presso i posteri – vale a dire il Manuale e i quattro libri delle Diatribe – furono composte e pubblicate dal suo discepolo Flavio Arriano di Nicomedia, brillante politico e versatile storiografo.
Il prolifico Arriano, cui dobbiamo, tra gli altri scritti, la poderosa Anabasi di Alessandro, fu certamente il più noto tra i discepoli di Epitteto e frequentò le lezioni del maestro per un lungo lasso di tempo, tra il 117 e il 120 circa.
Il Manuale di Epitteto
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Del Manuale di Epitteto esistono oggi in commercio molteplici esemplari. L’edizione da me consultata è quella pubblicata nel 1991 da Garzanti (e riedita nel 2005), a cura di Enrico V. Maltese, autore della sapiente introduzione, delle traduzioni del testo dall’originale greco e dalla versione latina e dell’ampio apparato esegetico. Accanto al testo del Manuale, l’edizione Garzanti include la versione latina di Angelo Poliziano (1479) e il celebre volgarizzamento realizzato da Giacomo Leopardi (1825).
La genesi
Sulla genesi del Manuale non disponiamo di notizie precise. Sarebbe in ogni caso erroneo ravvisare in quest’opera una mera introduzione alla filosofia di Epitteto. A fugare questa improvvida lettura intervengono alcune ovvie considerazioni. È sufficiente riconoscere, ad esempio, che i temi di carattere metafisico e teologico, così decisivi per la comprensione del pensiero del filosofo stoico, assolvono un ruolo piuttosto marginale nell’opuscolo arrianeo, a tutto vantaggio delle implicazioni etiche.
Il discepolo non volle mai impegnarsi nella stesura di una vera e propria summa del pensiero del suo maestro, reputandolo un compito superiore, forse, alle sue effettive capacità. E nemmeno si può ravvisare nel Manuale una versione condensata dei precetti sviluppati più estesamente – sia pure in forma asistematica – nelle Diatribe.
L’obiettivo: un sostegno etico quotidiano
Del resto, sebbene speculari dal punto di vista concettuale e legati da una fitta trama di allusioni e di impliciti richiami, il Manuale e le Diatribe differiscono sotto il profilo formale. Alla variegata esposizione delle seconde corrisponde il tono assiomatico, a tratti aforistico, del primo. Non si tratta di una dissonanza puramente stilistica. Lontani dalla densità dialettica delle Diatribe, la brevità e il taglio pragmatico del Manuale, articolato in 53 capitoli di varia estensione, rispondono all’esigenza primaria perseguita dal suo autore: fornire al lettore – un lettore evidentemente "specializzato", considerato il numero di riferimenti colti e di termini tecnici disseminati nel testo – un sostegno immediato per orientare la sua azione nella vita di ogni giorno.
Al fondo delle riflessioni e delle raccomandazioni contenute nel Manuale sta una netta bipartizione: da un lato, ciò che ricade sotto il nostro giogo; dall’altro, ciò che non dipende in alcun modo da noi:
"La realtà si divide in cose soggette al nostro potere e cose non soggette al nostro potere. In nostro potere sono il giudizio, l’impulso, il desiderio, l’avversione e, in una parola, ogni attività che sia propriamente nostra; non sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche pubbliche e, in una parola, ogni attività che non sia nostra. E ciò che rientra in nostro potere è per natura libero, immune da inibizioni, ostacoli, mentre quanto non vi rientra è debole, schiavo, coercibile, estraneo. Ricorda, allora, che se considererai libere le cose che per natura sono schiave, e tuo personale ciò che è estraneo, sarai impedito, soffrirai, sarai turbato, ti lamenterai degli dèi e degli uomini; se invece riterrai tuo solo ciò che è tuo, ed estraneo, come in effetti è, ciò che è estraneo, nessuno ti potrà mai coartare, nessuno ti impedirà, non ti lamenterai di nessuno, non accuserai nessuno, non ci sarà cosa che dovrai compiere contro voglia, nessuno ti danneggerà, non avrai nemici, perché non potrai patire alcun danno".
Comprendere la basilare dicotomia che sta al fondo della realtà è tanto semplice quanto essenziale; per Epitteto, infatti, soltanto attraverso un oculato governo delle proprie passioni, reso possibile da una corretta rappresentazione della realtà, mondata da chimere e falsi miti, il singolo può realizzare l’intima vocazione del proprio essere e conseguire la perfetta quiete (da intendersi, conformemente ai dettami stoici, quale "apatia", stato di perfezione contemplativa dello spirito). Al contrario, orientandosi verso ciò su cui non ha alcun potere, l’uomo si espone inevitabilmente a dolori e insoddisfazioni.
Un’etica razionalistica
Secondo Epitteto, dunque, una vita conforme a natura, per l’essere umano, si fonda sul retto uso delle proprie facoltà razionali, che scaturisce a sua volta da una preliminare distinzione (o scelta di principio): la proairesis (προαίρεσις). Quella di Epitteto è a tutti gli effetti un’etica razionalistica, che non intende minimizzare, in ogni caso, la drammaticità della condizione umana.
Del resto il maestro stoico, stando alla copiosa aneddotica a lui riferita, ebbe a patire non poche disavventure nel corso della sua lunga, tumultuosa esistenza. Eppure lo stoicismo insegna – e il filosofo di Ierapoli non manca di ribadirlo – che povertà, dolori, inganni, ingiustizie e morte non sono da intendere alla stregua di mali assoluti, giacché essi appartengono ineluttabilmente all’ordinamento cosmico, retto da un "logos" superiore e imperscrutabile. Compito del saggio è adeguarsi al corso fatale e necessario delle cose, persuaso dell’intrinseca razionalità di ogni evento:
"Come un bersaglio non è posto per esser mancato, così pure nell’universo non esiste la natura del male".
Non c’è dubbio che il riconoscimento di un ordine universale, di una Mente divina che tutto sottende, conferisca un afflato profondamente religioso alla visione filosofica di Epitteto (di una religiosità, s’intende, che promana da un senso del limite e del contingente squisitamente pagano).
L’opera di Arriano si configura così come uno scritto concepito per essere sempre a portata di mano e pronto all’uso. Non una raccolta di massime e di pensieri estemporanei dunque, come pure sembrerebbe suggerire una lettura sommaria del testo, ma un prontuario per l’azione, una guida per lo studioso chiamato a saggiare sul terreno della prassi le sue pregresse acquisizioni teoretiche.
Il successo dell’opera
L’opuscolo arrianeo ha conosciuto una straordinaria fortuna, al punto da essere parafrasato, chiosato e interpretato sia da anonimi lettori che da illustri esegeti. La ragione di cotanto successo può forse essere ravvisata nella struttura piana, agile, apoftegmatica di questo testo, capace di adeguarsi così bene agli umori di ogni epoca e alle aspettative di un’ampia, eterogenea gamma di fruitori. Fatto sta che il Manuale ha esercitato nei secoli, e in misura incomparabilmente superiore rispetto alle Diatribe, un singolare magnetismo su generazioni di lettori.
Quasi due millenni ci separano da Epitteto. È lecito chiedersi cosa ci leghi ancora a quest’uomo dall’espressione fiera e tetragona, la cui errabonda esistenza si svolse in un tempo così dissimile dal nostro. Di primo acchito verrebbe da rispondere che le affinità sono scarse. Del resto, vivere all’altezza dei precetti raccomandati dal maestro frigio è tutt’altro che semplice. Tenere a bada le seduzioni dei sensi e i prodotti dell’immaginazione, accettando con equanimità gioie e privazioni, richiede una ferrea autodisciplina.
Nondimeno il magistero di Epitteto non ha nulla di inattuale; e il compendio scritto da Arriano, a differenza di tante sue pallide imitazioni, sembra resistere più che dignitosamente all’usura del tempo, rispondendo alle inquietudini e agli aneliti dell’uomo contemporaneo.
Pur con i suoi innegabili limiti, il Manuale è un piccolo classico del pensiero antico, come lo sono i Versi d’oro di Pitagora, le Lettere morali a Lucilio di Seneca e le Epistole di Epicuro. Aprendolo a caso, oppure meditandolo accuratamente da cima a fondo, avvinti da uno dei suoi motti memorabili o dal tono sentenzioso di un paragrafo, sovviene l’aurea formula coniata dallo scrittore bonaerense Jorge Luis Borges:
"Classico non è un libro che necessariamente possiede tali o talaltri meriti; è un libro che generazioni di uomini, spinte da diverse ragioni, leggono con previo fervore e con una misteriosa lealtà".
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Epitteto: vita e opere del filosofo e analisi del suo Manuale
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