Eredità
- Autore: Vigdis Hjorth
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Fazi
- Anno di pubblicazione: 2020
Eredità (Fazi, 2020) è uno dei migliori romanzi della scrittrice norvegese Vigdis Hjorth, che per questo libro ha meritato fama e numerosi premi, tra cui il Norwegian Critics Prize. Nella narrazione sono presenti tre generazioni familiari, ma protagonista è Bergljot, ora donna matura con una propria famiglia, dei figli adulti e una nipote, ma ancora estremamente legata a ricordi del passato. La protagonista, che si era allontanata presto da casa, così parla di sé:
“Vincolata a quella stupida infanzia. Superati i cinquant’anni ma ancora sofferente della paura che provano i bambini verso l’autorità genitoriale…”
La donna, però, non ha certo tutti i torti, anzi. Dopo decenni di silenzio, ormai cresciuta, sembra riuscita a liberarsi di un peso enorme che le ha segnato la vita: l’abuso subito fino ai cinque-sei anni da parte del padre. Appena divenuta cosciente di aver vissuto un “incesto”, parola vietata e, per questo, mai pronunciata in famiglia se non in modo storpiato, Bergljot porta dentro di sé tutta l’angoscia di quei ripetuti gesti di cui inizialmente era stata vittima inconsapevole.
Poi, con gli anni, il cambiamento: la protagonista ha il coraggio di svelare quei segreti inenarrabili e si costruisce subito una famiglia propria, con marito e figli. Anche lei era stata figlia, ma il desiderio di esser madre va quasi a cancellare la sua condizione precedente. Bergljot desidera fortemente una vita nuova che attenui, attutisca il dolore provocato dalla consapevolezza di quanto subito.
La vita, però, prima o poi ci mette davanti a ciò che per tempo abbiamo evitato e così è per la protagonista: quando il padre muore, Bergljot viene trascinata in una discussione familiare sull’eredità e in particolare su chi potrà ottenere piccole proprietà in luoghi di vacanza. Da una parte si schierano la madre con le sorelle minori, rimaste affezionate alla famiglia, dall’altra lei e il fratello Bård , anch’egli in dissidio per fatti lontani nel tempo. La protagonista, però, a differenza del fratello, rifiuta quel passato. È pronta anche a non accettare più nulla perché fugge via dai ricordi, dai dolori.
Vigdis Hjorth scrive il romanzo in prima persona e la narrazione scorre in un susseguirsi di ricordi di Bergljot (in uno di questi, da donna adulta ripensa a cosa le aveva fatto suo padre). Il linguaggio non è però crudo: ha decisamente toni e riferimenti psicoanalitici, perché è a tale scienza che la protagonista stessa si aggrappa nella ricerca di aiuto. Nel corso del romanzo, Bergljot si riferisce ai suoi genitori con toni distanti: li chiama "madre e padre”, non usa la forma confidenziale quasi a voler indicare il distacco provocato da un passato lontano, ma ancora vivo.
L’occasione per i personaggi di ritrovarsi o solo di dialogare da lontano avrà più effetti: da un lato riaprirà quella ferita mai guarita, dall’altro permetterà alla protagonista di trovare qualcosa di sopportabile nella rivisitazione della vicenda. È bella l’email che la figlia di Bergljot scrive alle zie:
“A Inga, Astrid, Asa
A seguito delle reazioni avvenute l’altro giorno dopo la coraggiosa confessione di mia madre, sento ancor più prepotente che mai il bisogno di raccontare come vivo tutto questo.
Ho visto la mamma ridursi a un tale livello di prostrazione che, superata quella soglia, chiunque sarebbe morto. Era così annientata e distrutta che pochissimi sarebbero stati in grado di rialzarsi. Ho visto la mamma lottare per cercare di convivere con la propria storia… cercare sempre di capire… Ho visto la mamma sgobbare, sgobbare, sgobbare.
Ho visto il nonno e la nonna e mi sono sentita una bugiarda. Li ho visti far finta di niente e io lo stesso. Me ne vergogno”
Non è una semplice email, per quanto accorata, a cambiare la situazione, bensì il percorso faticoso che Bergljot effettua in quest’occasione. Il passato è incancellabile, non ha attenuanti, ma forse anche chi ha ferito può essere capito solo dopo che
“vengono riconosciuti il dolore, la disperazione, la rabbia della persona ferita.”
Eredità si fa quindi una narrazione catartica: l’autrice sa parlare di dolore anche senza esagerare nei toni e, soprattutto, sa scavare nell’intimo dei personaggi. Il tocco di maestria di Vigdis Hjorth sta nella pagina finale, delicata e assolutamente inaspettata: una svolta improvvisa con un’immagine limpida e pulita come lo sguardo di un bambino.
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