L’esercito romano
- Autore: David J. Breeze
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2019
All’inizio, furono cittadini in armi, secoli dopo diventarono la più possente arma da guerra del passato. È il capitolo d’avvio, in cui viene descritta l’organizzazione dell’esercito repubblicano, quello sul quale soffermarsi nel descrivere un prodotto editoriale adatto a tutti, per la brevità e scorrevolezza (con la collaborazione del traduttore, Rinaldo Falcioni). Si tratta dell’agile saggio storico di David J. Breeze L’esercito romano, proposto nel 2019 tra i tascabili della collana Universale Paperbacks delle edizioni bolognesi il Mulino (161 pagine).
La compagine militare repubblicana, formata e sviluppata fin dalle origini dell’Urbe sui sette colli, è infatti alla base della grande potenza romana. Ha costituito la longa manus con cui Roma riuscì a controllare l’intero mondo conosciuto fino ai limes, i lontani confini situati nei territori esplorati di tre continenti.
Breeze, archeologo e ispettore delle antichità della Scozia, è un esperto di lungo corso, autore di numerosi studi, in particolare sulle frontiere dell’impero e sulle fortificazioni, tra le quali i complessi del Vallo Adriano e del Vallo Antonino, nella principale isola britannica.
La storia dell’antica Roma coincide pressoché perfettamente con quella del suo esercito. In principio, nell’VIII secolo prima di Cristo, era una delle tante città-stato in Italia. Furono la creazione di una compagine militare senza paragoni e lo sviluppo organizzativo, tattico e logistico impresso a quello strumento bellico a favorire il graduale sopravvento sulle comunità italiche, solo per cominciare.
L’organizzazione dell’esercito tardo repubblicano viene fatta risalire a uno degli ultimi tra i sette re, Servio Tullio. Un censimento dei cittadini romani e dei valori delle proprietà indusse a dividere i soldati per classi di censo e ripartirli nelle centurie, formazioni inizialmente composte da cento uomini (in epoca imperiale anche ottanta soltanto).
Ogni soldato doveva procurarsi l’armamento individualmente, per questo le classi più ricche andavano a formare la cavalleria, mentre il resto dei cittadini prestava servizio nella fanteria, più numerosa. La prima classe era bene armata con lance e spade, protetta da corazze, scudi tondi e schinieri alle tibie, ma l’armamento declinava di classe in classe. L’ultima riusciva a disporre solo di fionde, frombole o addirittura appena di pietre.
Sempre ai fini della saldezza, si teneva in gran conto l’età ed efficienza fisica dei combattenti: gli anziani erano dispensati dai servizi e altri compiti gravosi, che venivano svolti dai giovani.
La formazione di battaglia adottava il modello greco della falange. Ognuno impugnava una lunga lancia e proteggeva il vicino. Disposti in otto file strette, opponevano al nemico una massa serrata, “una sorta di istrice”. Erano circa 4mila armati, affiancati da 600 cavalieri, ma restavano un esercito in gran parte di contadini, che dovevano pur sempre curare i campi, le semine e i raccolti.
La lotta decennale contro Veio, dal 406 a.C., suggerì cambiamenti significativi, a partire dall’ampliamento dell’unità a 6 mila appiedati e 1.800 montati. Lo scudo tondo venne sostituito dall’italico, lungo, rettangolare, con una piastra metallica centrale. Fu introdotta una paga giornaliera, oltre al necessario per il mantenimento. Nella successiva invasione dei Galli, i Romani modificarono la tattica di combattimento, dividendo la centuria in reparti più agili, i manipoli, che con Scipione e Mario andranno a strutturare a tre per tre le famose coorti, assicurando allo stesso tempo flessibilità e compattezza nel corso di marce e scontri.
La tecnica di combattimento prevedeva, per cominciare, il lancio dei giavellotti, seguito dalla carica contro il nemico scompigliato, nel corso della quale si ricorreva all’uso della spada. Tutti i cambiamenti furono fattori essenziali nella conquista romana del mondo mediterraneo.
La tappa seguente fu l’ampliamento delle dimensioni dell’esercito. Dal 362 a.C. le legioni vennero portate a due e dal 311 a.C. a quattro, forse già numerate. Ciascuno dei due consoli (i magistrati supremi in carica per un anno) comandava una coppia di legioni e ogni unità aveva sei superiori, i tribuni, primo nucleo di un corpo di ufficiali di professione, dato che per la nomina era indispensabile aver già prestato cinque anni di servizio.
Gli alleati di Roma fornivano truppe ausiliarie. Sembra che le città procurassero 500 uomini al comando di uno dei propri magistrati, il prefetto, fino a uguagliare il totale dei legionari romani. Alle città costiere toccava procurare navi ed equipaggi, quando necessario. Si assistette contemporaneamente allo sviluppo di strade efficienti, per agevolare il movimento di reparti e rifornimenti.
Tito Livio descrive la formazione da battaglia a metà del IV secolo a.C. su tre linee principali, coi più giovani avanti e i più anziani dietro. Uno schermo di armati alla leggera anticipava lo schieramento principale e uno, indietro, fungeva da riserva.
Con questo esercito Roma affrontò il massimo pericolo per la Repubblica: Annibale. Uscire vittoriosa dalle guerre puniche le assicurò il potere sul Mediterraneo, altra base del suo dominio, sempre assecondato da progressi militari organizzativi, documentati dall’autore David J. Breeze.
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