Esperienze del dolore. Fra distruzione e rinascita
- Autore: David Le Breton
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Raffaello Cortina Editore
- Anno di pubblicazione: 2014
Non è un segreto e nemmeno un mistero: vengo dai dischi dei cantautori (mi sono formato “sui” dischi dei cantautori), mi scuseranno i puristi, ma dovendo cominciare da qualcosa sul tema del dolore comincio con i versi di Roberto Vecchioni (“Ho conosciuto il dolore”, Universal, 2013):
“Ho conosciuto il dolore (di persona, s’intende) e lui mi ha conosciuto: siamo amici da sempre/ io non l’ho mai perduto, lui tanto meno, che anzi si sente come finito se, per un giorno solo, non mi vede o mi sente/ Ho conosciuto il dolore e mi è sembrato ridicolo, quando gli dò di gomito, quando gli dico in faccia: Ma a chi vuoi far paura?/ Ho conosciuto il dolore: era il figlio malato, la ragazza perduta all’orizzonte, il sogno svanito, la miseria dopo l’avventura/ era il brigante all’angolo che mi chiedeva la vita; era il presuntuoso tumore che mi porto dentro da una cellula impazzita/ era Dio, che non c’era e giurava, ah se giurava, di esserci/ la sconfitta patita, l’indifferenza del mondo alla fame, alla povertà, alla fatica”.
Il testo continua e, a mio parere, la dice molto lunga. La prima cosa tragica dell’esperienza del dolore - di qualsiasi tipo di dolore si tratti - è che non puoi condividerla con nessuno. E’ esclusiva. E’ tua, lo è fino in fondo. Per quanta empatia ci mettano, per quanto si sforzino, gli altri possono arrivare soltanto a una pallida idea. Il dolore è l’esperienza individuale per eccellenza, un’esperienza limite, la prova del nove che nei momenti ontologicamente decisivi (come lo sono il soffrire e il morire) in fondo restiamo a vedercela da soli. Il dolore del corpo (o della mente) segna addirittura una distanza, innalza barriere, sancisce l’autentico confine tra sofferente e mondo. Il dolore è un memento mori che ci (ri)sbatte in faccia, uno per uno, i limiti evidenti della materia cui siamo costituiti, di un corpo che all’improvviso non riconosciamo più. A maggior ragione se la sofferenza muta in costante, si cronicizza: lo iato diventa frattura e il dolore un compagno di viaggio di cui è impossibile liberarsi, l’ospite inquieto e inatteso che devi sopportare fino in fondo, il compagno di vita familiare, al punto da chiamarlo persino per nome. Lo fa fatto Nietzsche, per esempio, e ne ha scritto:
“Ho dato un nome al mio dolore, e lo chiamo ‘cane’ – esso è tanto fedele, tanto invadente e spudorato, tanto capace di svagare, tanto assennato come ogni altro cane, e io posso apostrofarlo e sfogare su di lui i miei malumori: come gli altri fanno con i loro cani, servitori e donne”.
La rivelazione risale a pagina 22 di un libro che divaga ottimamente sul dolore - dolore organico, interiore, indotto (da tortura, da sport, da rito iniziatico), psicopatologico -. Si intitola “Esperienze del dolore. Fra distruzione e rinascita” (Raffaello Cortina, 2014) e a firmarlo è un sociologo-antropologo - David Le Breton -, un sociologo-antropologo dalla prosa che istruisce e che cattura. In senso letterale. Racchiuse in 264 pagine di rara intensità, le molteplici coniugazioni della sofferenza sono indagate via via e una a una, per dimostrare come essa possa travalicare, in fondo, la mera sensazione, per approdare al piano-livello ontologico della percezione ulteriore, del pretesto di confronto con il se stesso che soffre, dunque per capire e capirsi.
In altre parole, secondo la lettura che ne da Le Breton l’esperienza dolorosa non sarebbe sola e semplice coazione di una modifica organica, oppure episodio riconducibile al solo sistema nervoso. Inutile andare a scovare un senso, impegnarsi a trovare un’escatologia del dolore: la sofferenza reiterata espropria l’individuo dell’essenziale, azzera il confine intra ed extra psichico (animo e mondo), fino a frantumarne il limite del “sentirsi persona”.
Avvalendosi di un corpus vastissimo di riferimenti - letterari, storici, filosofici, antropologici - Le Breton sollecita una riflessione che trascende, quindi, finanche il tema portante del suo saggio, consentendoci di esplorare ciò che di più recondito, ambiguo, sfrangiato, alberga in ciascuno noi.
Il libro esce per la collana “Scienza e Idee” diretta da Giulio Giorello e - garantisco - è una lettura da non perdere. Prima di adesso soltanto in alcuni libri dello psichiatra Eugenio Borgna, avevo rintracciato una simile vocazione allo scandaglio dell’indicibile, una simile capacità di edificare per concetti e locuzioni una “poetica del dolore” che rischiara, cattura e non si dimentica.
Esperienze del dolore. Fra distruzione e rinascita
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