Essere rosso
- Autore: Javier Argüello
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2020
Alienati dalle sirene del Capitale sopravviviamo a vista senza più grandi Sogni: Dio è morto e il Comunismo ha fallito. Due ottime idee immiserite sul piano pratico dall’egoismo di specie (umana). Ipnotizzati come falene suicide dalla fiamma del consumo di massa, gli ex paesi del Patto di Varsavia hanno gettato via il bambino con l’acqua sporca, prestandosi di fatto al gioco delle mafie economiche. Da Stalin in poi il comunismo sovietico rivelava controindicazioni comuni ad altre dittature, ma ciò non elude la bontà originaria della Causa. In maniera più opportuna andavano sostituiti gli uomini e non l’ideale. Rimpiazzato poi da cosa? Dai simulacri del consumismo occidentale? Dalla superstizione di stampo liberista del benessere a portata di tutti? Da cosa? Dal diktat tecnocratico? Dal mito edonista? Da questo essere niente ma sempre meglio che comunisti?
Mi arrischio a definire Essere rosso di Javier Argüello (Voland, 2020, traduzione di Francesco Ferrucci) un saggio narrativo. Gremito com’è di storie di uomini e idee, coniuga la parabola novecentesca del comunismo con quella dei destini militanti che per esso si sono battuti-persi-ritrovati-organizzati. Che per esso sono stati perseguiti-esiliati-incarcerati-torturati-uccisi. Essere rosso non è un libro apologetico. Semmai il racconto di un sogno infranto: attraverso l’impegno politico di Omar e Lolita (genitori dell’autore) attraversa i fantasmi neri dei golpe – il Cile di Pinochet, lo spettro argentino delle dittature militari – e i loro contraltari comunisti – la Russia sovietica, la Cuba di Castro e Guevara, la Berlino della DDR. Il passato cinereo ma leggendario contro il presente disgregato dei paesi dell’est europeo. Mi sono appuntato diversi passaggi di questo libro disalienante e considerevole per l’equidistanza con cui sgomitola la storia: quella finita nei libri e quella nei ricordi di uomini e donne che l’hanno vissuta e scritta. Da comunisti.
“Con il tempo sono arrivato a pensare che la caduta del muro nel 1989 fu un simbolo di tutto ciò che stava per accadere. Fino ad allora, e al di là delle idee di ciascuno, nel mondo c’erano due opzioni. Almeno a livello simbolico la gente viveva con la sensazione che ci fosse un’alternativa. Dal crollo del mondo comunista, e al di là delle simpatie di ciascuno, rimase un’unica via, quella del capitalismo che, senza nessuna opposizione, si convertì nella nostra sola possibilità di futuro”. (p. 31)
Pagina 64 (a proposito di Berlino Est):
“Tutte le ristrettezze e le mancanze di libertà erano, a sentire Tamara, una condizione necessaria per la sopravvivenza di un mondo che voleva giocare con regole diverse da quelle che reggevano il mondo capitalista. Cooperazione invece di concorrenza. Giustizia sociale invece di denaro. Benessere collettivo invece di fortune individuali”.
Pagine 137, 138 e 139 (i più volenterosi leggano, rileggano e ci riflettano sopra):
“Cosa celebravamo quando celebravamo la caduta del muro? […] Che gli Andruska e le Olga che avrei conosciuto a San Pietroburgo avessero la possibilità di comprarsi dei jeans di marca? Che le strade di Praga […] si riempissero di pubblicità e negozi alla moda? Che la nuova aspirazione dei giovani che un tempo voluto cambiare il mondo fosse di finire sulle riviste e guidare auto di lusso? Il comunismo aveva fallito. E il capitalismo aveva trionfato? Stavamo assistendo a un trionfo? Il regime comunista aveva oppresso, incarcerato, torturato e assassinato. E non avevano fatto altrettanto i regimi che il capitalismo aveva instaurato qua e là per impedire l’avanzata del temuto nemico? Cosa celebravamo realmente quando celebravamo la caduta del muro? Che il vantaggio economico si trasformasse nella nostra guida? Che i mercati si convertissero in oracoli e il denaro nel nuovo dio? Cos’è che aveva fallito in realtà? Il regime di Stalin, un dittatore squilibrato come gli altri, o l’idea che il benessere individuale dovesse essere legato al benessere collettivo? E cosa Aveva trionfato in realtà? Il perseguimento del profitto come valore supremo? Il culto del consumo sfrenato? I successi materiali come unico parametro della felicità e realizzazione di un individuo? Quello chiamavamo trionfo della libertà? […] Noi sognavamo di cambiare il mondo. Cosa sognano i giovani d’oggi? Una Mercedes Benz? Sognare una Mercedes Benz non è sognare davvero”.
Meglio di così non saprei dire. Aggiungo soltanto che Essere rosso è un libro benedetto dal cielo di giustizia & libertà. In tempi omogeneizzati anche nei libri che si pubblicano, un libro così si può mandare solo a memoria. Coraggioso e controtendente, da rileggere spesso. Per ricordarsi di ricordare com’era il mondo, nel tempo prima della dittatura silente del capitalismo globale.
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