Inizia con un avverbio che ci introduce con irruenza nell’atmosfera estiva: “improvvisamente”. L’estate è un atto di sopraffazione nella poesia di Hermann Hesse. L’autore ci descrive la luce che una giornata estiva proietta sul mondo illuminando le cose nella loro piena, fulgida essenza. Le stagioni hanno una valenza spirituale nella poesia meditativa di Hesse, come ci dimostrano le numerose liriche che l’autore ha dedicato all’alternanza ciclica del tempo naturale: l’inverno ha contorni nitidi, la primavera è la rinascita con i primi fiori che spuntano come “occhi d’oro”, l’autunno il lento trascolorare dei colori, ma l’estate rappresenta la pura pienezza di vita.
Attraverso il racconto delle sensazioni suscitate da una giornata d’estate, Hermann Hesse ci immerge nell’intensità di un tempo fatto di luce che sembra nutrire ogni istante facendolo risplendere di vitalità. Non c’è spazio per l’ombra, i colori sono più vivi e intensi, sia quelli chiari che quelli scuri: vediamo il rosso smagliante del papavero che quasi ci stordisce e il verde cupo, ombroso, del folto del bosco, la strada bianca e arroventata che sembra trasudare calore dall’interno e accecarci con il suo nitido bagliore. L’estate è una forte sinestesia di colori, suoni, odori, sensazioni, restituite appieno tramite la forte espressività delle coppie di aggettivi e verbi. Tutto, però, si dischiude dall’irruenza di quell’avverbio che apre la scena come una lama di luce: “improvvisamente”.
Nel finale si passa da un piano fisico a uno metafisico, perché lo splendore dell’estate sbiadisce e si assottiglia in un presagio.
Vediamo testo, analisi e significato della poesia di Hesse dedicata all’estate.
La poesia è contenuta in Le stagioni. Prose e poesie per tutto l’anno di Hermann Hesse, la raccolta edita da Guanda nel 2021.
“Estate” di Hermann Hesse: testo
Improvvisamente fu piena estate.
I campi verdi di grano, cresciuti e
riempiti nelle lunghe settimane di piogge,
cominciavano a imbiancarsi,
in ogni campo il papavero lampeggiava
col suo rosso smagliante.La bianca e polverosa strada maestra era arroventata,
dai boschi diventati più scuri risuonava più spossato,
più greve e penetrante il richiamo del cuculo,
nei prati delle alture, sui loro flessibili steli,
si cullavano le margherite e le lupinelle,
la sabbia e le scabbiose, già tutte in pieno rigoglio
e nel febbrile, folle anelito della dissipazione
dell’approssimarsi della morte
perché a sera si sentiva qua e là nei villaggi il chiaro,
inesorabile avvertimento delle falci in azione.
“Estate” di Hermann Hesse: analisi e commento
Link affiliato
Sono numerose le poesie di Hermann Hesse dedicate alla stagione estiva, tra esse troviamo Sera d’estate, Notte d’estate, Ultimi giorni d’estate, in cui spesso questo momento di inaudita pienezza vitale è già accostato al presagio della sua fine.
“So fin troppo bene quanto la bellezza sia effimera”, scrive Hesse in un’altra poesia sull’estate e la stessa urgenza meditativa la ritroviamo anche in questo canto. Nel descriverci lo splendore delle cose, l’inaudito fulgore della luce, ecco che l’autore ce ne ricorda anche la caducità intrinseca. Non c’è inizio senza fine; non c’è felicità senza tristezza; Hermann Hesse non può fare a meno di connettere il sentimento della vita all’ineffabile scorrere del tempo che tutto muta, che tutto consuma. Le stagioni naturali diventano così metafora del tempo umano: giovinezza, maturità, vecchiaia, morte. L’estate è il più profondo riflesso del presente: un tempo che basta a sé stesso, da vivere e godere pienamente, la massima realizzazione - ciò che prova un uomo nel pieno delle forze, nell’incanto estremo della propria vita, nel momento ineffabile della gioia, della più ardita felicità. Nell’attimo apicale, nella vertigine inesausta del vivere, è però racchiuso lo spettro del declino.
Dopo aver cantato la luce d’estate, il trionfo dei campi pronti per la mietitura, il rigoglio dei fiori che spalancano le loro corolle al sole, ecco che Hermann Hesse ci stupisce nei versi finali con una chiusa inattesa:
e nel febbrile, folle anelito della dissipazione
dell’approssimarsi della morte
perché a sera si sentiva qua e là nei villaggi il chiaro,
inesorabile avvertimento delle falci in azione.
Dopo averci narrato il fulgore, ce ne racconta anche la fine: il rumore delle falci in azione è un presentimento angoscioso. Quel rigoglio di vita, così estremo, così potente e magnifico, sta per essere guastato, interrotto. In questa visione il poeta racchiude la parabola tragica - ma anche inevitabile - della mortalità.
L’estate di Hermann Hesse è una metafora della vita umana che si dirama come un albero - “l’albero della vita”, l’elemento simbolico ricorrente nell’iconografia religiosa orientale, che rappresenta la nascita, la crescita, la rinascita. Lo stesso albero ai cui piedi Govinda trova a riposare il saggio Siddharta nel momento in cui comprende chi è veramente. L’insegnamento finale di Siddharta è, per l’appunto, che il mondo non è imperfetto, ma “perfetto in ogni suo istante”.
L’anelito dell’autore, scrittore di alcuni dei romanzi più belli del Novecento, è quello di tenere con sé un poco di quel fulgore estivo, di farne tesoro prezioso per quando sopraggiungerà il crepuscolo e il male dell’inverno. Il presagio di morte che Hesse inserisce nell’estate è una sorta di memento mori che, tuttavia, non dobbiamo leggere in chiave tragica: si tratta di un invito a cogliere l’attimo, a vivere appieno il presente, la “risonanza dorata dell’attimo”, prima della sua fine. L’estate è luce che ci acceca, splendore che ci ricorda che ora, adesso, siamo vivi.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Estate”: la poesia meditativa di Hermann Hesse
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Hermann Hesse Guanda Storia della letteratura
Lascia il tuo commento