Fabio Genovesi nasce a Forte dei Marmi nel 1974. Esordisce nel 2007 con la raccolta di racconti ‘Il
bricco dei vermi’, uscito a tiratura limitata. L’anno successivo tocca al primo romanzo, ‘Versilia
Rock City’ (Transeuropa), più volte ristampato. Collabora con Vanity Fair, La Lettura del Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tirreno
e Satisfiction. Nel gennaio 2011 Mondadori pubblica il suo secondo romanzo, ‘Esche vive’ che lo
porta all’attenzione del grande pubblico trovando il successo anche all’estero. Nel 2012, Mondadori ristampa il primo libro "Versilia Rock City".
Fabio, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo
4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: Il tuo caso è emblematico della “prepotenza” della passione, che entra
nelle storie condizionando, direi piacevolmente, l’autore. So che stai lavorando al nuovo
romanzo e allora ti chiedo subito: con ‘Esche vive’ pensi di aver esaurito l’argomento pesca
oppure hai in mente nuove catture?
L’argomento pesca è inesauribile, perché è grande quanto tutti i mari e i fiumi e i laghi e gli stagni
e i fossi, e quanto l’umanità. Ma non mi piace scrivere libri su un argomento, preferisco raccontare
storie, storie di posti e di persone che fanno cose. Dentro poi ci finiscono le mie passioni, che per
fortuna sono tante, ma ci finiscono come i cassonetti nei fiumi in piena, che passano e raccattano
tutto. È come i famosi “contenuti”, se parti a scrivere pensando a quelli ti ritrovi in mano pagine
meccaniche e plasticose. Io racconto una storia, come uno racconta quel che gli è successo o
ha visto succedere ad altri, come uno racconta un sogno o un incubo o una barzelletta. Se poi il
contenuto ci si tuffa dentro è splendido, ma ci si deve tuffare da solo, non lo devi spingere te.
- Seconda chiacchiera: Fiorenzo, uno dei tre protagonisti di ‘Esche vive’, perde la mano destra
giovanissimo, per colpa di un petardo. Trova la forza di reagire in quegli anni di ragazzo in
cui credi di poter spaccare il mondo; crescendo quella forza si affievolisce lasciando il posto
alla sensazione di inadeguatezza nei confronti di una società che giudica e non lascia scampo.
Quando hai pensato per la prima volta a Fiorenzo? Come sei riuscito a dare credibilità e
spessore a un personaggio vittima di una sofferenza che tu evidentemente non conosci sulla
tua pelle?
Fiorenzo mi è venuto in mente per caso. Mi stancano le persone che non fanno che lamentarsi di
quello che gli manca. Viviamo un momento in cui mancano effettivamente un sacco di robe, e
il senso di privazione ci circonda costantemente. Ma passare le giornate a lamentarsi è il miglior
modo per scavarsi la fossa da soli. Fiorenzo invece sa esattamente cosa gli manca, una mano, e
però ha la forza di combattere e insistere alla faccia di tutto e tutti. Corre a testa bassa, a volte è
testardo, a volte irragionevole, è contento di essere così. Per scrivere delle sue limitazioni mi sono
fasciato una mano e ci ho passato diversi giorni. Lì per lì non sei in grado di fare nulla. Esci di casa
senza scarpe perché il fiocco ai lacci te lo puoi scordare, e altre mille cose quotidiane diventano
impissibili. Col tempo migliori, ma certo ci vuole tanto tempo e una forza dentro che ti spinge.
Fiorenzo ce l’ha. È una persona forte, sgangherata per tanti aspetti ma forte. Ecco, volevo uno così,
dopo tanti personaggi moscissimi che leggo in giro.
- Terza chiacchiera: Qual è il rapporto fra Fiorenzo, ex promessa del ciclismo al quale, per
via della mano, non può più dedicarsi, e suo padre, unico genitore che gli resta, allenatore
dell’Unione Ciclistica Muglionese, costantemente alla ricerca del grande talento del futuro, che ormai suo figlio non potrà essere?
Suo padre Roberto è fatto a modo suo, e si potrebbe pure dire che allora è fatto male. Ci sono lettori
che mi dicono “all’inizio lo volevo pestare, quel bastardo”. Poi però passano le pagine e viene fuori
un uomo che non puoi odiare. O comunque che ha le sue ragioni, come ce le abbiamo un po’ tutti
credo. Lui ha vissuto da gregario, nello sport e nella vita, e sogna il successo grazie a un campione
giovane. Lo facciamo spesso, anche fuori dallo sport. C’è chi stronca di pressioni i figli perché
seguano una via che gli impone, c’è chi vorrebbe forzare la vita di fidanzati, mariti e mogli, amici,
colleghi. Insomma questa ossessione per un disegno che abbiamo in testa noi, e che non si realizza
perché gli altri si ostinano a non seguire i nostri voleri. È splendido che sia così. È splendido che il
mondo vada per i fatti suoi.
- Quarta chiacchiera: In entrambi i tuoi romanzi scegli di raccontare storie corali, in cui i
personaggi sono tutti protagonisti, con le loro crisi individuali da risolvere che fanno capolino
nella vita degli altri e con essa s’intrecciano. È la struttura narrativa che preferisci, oppure è
una casualità e magari il prossimo romanzo di Fabio Genovesi sarà interpretato da un unico
protagonista che parla allo specchio?
Non lo so. Mi piacciono le storie a più voci, gli incastri di vite, perché la vita è proprio questo
secondo me. Quello che fai a te e agli altri, montato con quello che gli altri si fanno e fanno a te.
Un nucleo isolato, una monade, è una cazzata. Sono quelle voglie autoriali di mettersi al centro di
tutto. Ma non sei mai al centro di tutto, c’è sempre un vortice che ti prende e ti sbatte di qua e di là
come l’acqua dei torrenti contro i sassi le piante il fondale. E puoi solo sperare di rimanere a galla e
prendere una boccata d’aria ogni tanto. E scoprire che è bellissimo così.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il
mio invito, facendoti molti in bocca al lupo per il tuo futuro. Se vuoi lasciare un messaggio al
mondo intero, qui puoi farlo.
Grazie a voi. Non ho messaggi, ma uno forse sì. Uscite, state all’aria aperta. Il tempo passato in
casa è sempre un ripiegamento. Va bene, uno usa il computer e legge e tutto il resto, ma poi fuori, a
giro, col cielo sopra e il sole o la luna e l’acqua e il vento e quel che c’è.
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