Federico Caffè. Le riflessioni della stanza rossa di Bruno Amoroso

Sono trascorsi venticinque anni da quel 15 aprile 1987, giorno in cui l’economista Federico Caffè tagliò i ponti con tutti svanendo nel nulla. Uscito di casa - pare di primo mattino - a Roma, dove viveva con il fratello Alfonso nel quartiere Monte Mario, lasciati gli occhiali, i documenti e l’orologio, da allora di lui non si ebbero più notizie.
Il caso ricorda di istinto un’altra sparizione "eccellente": quella del fisico catanese Ettore Majorana, avvenuta nel lontano 1938.
 
Caffè, di formazione keynesiana, era un convinto sostenitore dello stato sociale. Di carattere riservato, lontano dai salotti buoni, dalle apparizioni pubbliche e dalla politica, Caffè era un uomo di profonda e raffinata cultura, maestro riconosciuto e stimato a livello internazionale. Molti affermati economisti sono stati suoi allievi: fra i tanti, Mario Draghi, oggi governatore della Bce, e Ignazio Visco, attuale governatore della Banca d’Italia.
Alle giovani generazioni, forse, questo nome dirà poco o niente, ma non c’è stato studente universitario di economia negli anni Settanta e Ottanta che non si sia formato su almeno uno dei suoi testi.
 
Caffè non accettò mai le ciniche logiche di un capitalismo senza limiti, anteponendo sempre la persona umana alle algide teorie economiche: l’economia al servizio dell’uomo, l’esatto contrario di quanto viviamo in questi ultimi anni sulla nostra pelle. Si occupò molto di tutela del Welfare, interessandosi al pensiero degli economisti di scuola scandinava e alle politiche economiche poste in atto dai governi di quei paesi.

Il punto di vista che ho assunto e cercato di mantenere nel corso di tutta la mia attività di economista (…) è quello delle persone comuni. (pag. 84)

Caffè sottolineò spesso le storture della società italiana: l’alto tasso delle “morti bianche”, ovvero gli incidenti sul lavoro; la sanità e il sistema dei servizi pubblici e sociali in crisi; l’eccessivo sviluppo dei consumi.
 

Ritengo che più di che di un diverso modello di sviluppo abbiamo bisogno di differenti condizioni di vita civile. (pag. 89)

 Profetica la sua visione su ciò che il sistema finanziario avrebbe in futuro comportato:
 

Dobbiamo essere consapevoli delle possibili conseguenze delle avventure finanziarie che ci vengono prospettate mediante la Borsa e l’ondata di fusioni nel settore bancario. (pag.90)

Bruno Amoroso, docente di economia all’Università di Hanoi, già accademico presso l’Università di Copenaghen e Roskilde, allievo di Caffè, rende omaggio al proprio maestro con questo piacevole libro in cui ne emergono l’umanità, la sensibilità, la grande attenzione ai problemi sociali, alla tutela dei ceti più deboli, all’importanza nella programmazione economica dei bisogni dei cittadini.
Il carteggio e i ricordi delle frequentazioni con Caffè – i dialoghi tenuti nella “stanza rossa” dell’appartamento di Roskilde -, vengono elaborati e proposti da Amoroso ad un vasto pubblico: non importa essere esperti di cose economiche per apprezzare il contenuto di questo volume.
 
Impariamo così a conoscere la figura di Caffè prima di tutto come uomo, poi come economista e intellettuale. Illuminante al riguardo anche la prefazione del filosofo del Diritto, Pietro Barcellona.
Un memoriale profondo, ricco di riflessioni e piccoli aneddoti che ci portano a scoprire il tratto più intimo del professore, oltre ad apprezzare l’elevato spessore qualitativo delle sue lezioni universitarie.
Uno studioso scevro da quella supponenza assai diffusa tra molti suoi colleghi, figura di grande intelligenza e acuta lungimiranza, la cui personalità non potrà non suscitare fascino e ammirazione nel lettore.
Una mia considerazione personale: mai come oggi, in questa grave fase di recessione economica, andrebbe rivalutato il pensiero di Federico Caffè, anziché guardare alla crisi soltanto attraverso la lente dello spread.