Figli della notte. Gli anni di piombo raccontati ai ragazzi di Giovanni Bianconi

Che cosa è rimasto da dire ancora sull’Italia degli anni di piombo e dello stragismo? L’argomento è stato affrontato da ogni angolazione: saggi di storia politica, romanzi più o meno fedeli alla realtà, album fotografici, colorati ed avvincenti graphic novel, analisi sociologiche, convegni e dibattiti accademici, dossier e documenti riservati venuti fuori all’improvviso, articoli su riviste e giornali, documentari, film, rappresentazioni teatrali. 

Giovanni Bianconi, penna brillante e acuta del Corriere della Sera, specializzato nel trattare il fenomeno, stavolta lo propone con gli occhi di chi si è visto il padre, il marito o un figlio stesi sul selciato per mano terrorista.
Con questo bel libro, l’autore ripercorre un ventennio grondante sangue: dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, a Milano, alla fine degli anni Ottanta, raccontando che cos’è stata l’Italia e, in parallelo, come l’ha vissuta chi, bambino, adolescente o magari non ancora nato, si è ritrovato in modo brutale orfano di un genitore. Tanta tragiche storie personali diventano lo spunto attraverso cui far conoscere ai ragazzi di oggi quel che accadeva nelle nostre città appena ieri, quando per la politica ci si poteva lasciare la pelle.

Bianconi è un cronista attento che racconta senza reticenze e luoghi comuni sia la spietatezza degli attentati sia, in particolare, la sofferenza vissuta dai parenti di quei poliziotti, magistrati, militanti o anche soltanto semplici cittadini capitati sul posto sbagliato al momento sbagliato, uccisi da chi seminava caos e morte per fini eversivi.
 
Straziante la scena di Caterina, figlia del maresciallo Mariano Romiti ucciso dalle Brigate rosse il 7 dicembre 1979 a Roma, intenta ad asciugare con i fazzolettini di carta il sangue del padre sull’asfalto alla fermata del bus.
 
Un libro - secondo me uno dei migliori pubblicati da Bianconi - meritevole di consacrazione in qualche concorso saggistico di settore: resoconto suggestivo e penetrante di quegli anni luttuosi e opprimenti.

Negli ultimi tempi si è cercato sempre più spesso di capire la logica e le ragioni di coloro che scelsero di uccidere persone colpevoli soltanto di compiere il proprio dovere e di servire lo Stato. Forse per chiudere definitivamente i conti con un passato pieno ancora di tanti rebus da risolvere. Pochi hanno provato a calarsi, invece, nei panni dei familiari mutilati degli affetti più cari da quella lunga stagione di violenta contrapposizione ideologica, sondandone stati d’animo, sentimenti, percezioni, inquietudini, sforzandosi di capire che cosa significhi perdere un congiunto ucciso da un colpo alla nuca o dilaniato da una bomba. Giovanni Bianconi è senz’altro uno di quei pochi.