Figlio della fortuna
- Autore: Anne-Laure Bondoux
- Genere: Avventura
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: San Paolo
- Anno di pubblicazione: 2014
È un bambino francese anche se parla russo, non sempre è vero quello che sembra.
Dedicato a quelli che dicono: gli immigrati andrebbero ributtati a mare. A chi sogna respingimenti a cannonate e profughi rimandati in Libia. Dovrebbero tutti meditare sulla vicenda raccontata da Anne-Laure Bondoux nel romanzo “Figlio della fortuna” (Edizioni San Paolo, 2014, 204 pagine 9,90 euro).
Come i clandestini accampati sugli scogli di Ventimiglia, il dodicenne Kumail è rimasto in attesa per giorni prima d’essere trasferito in un centro di accoglienza francese, dopo che l’hanno trovato nascosto in un camion, sull’Autostrada 4, con un passaporto malamente falsificato. È così che si è chiusa la sua infanzia, di colpo. Il doloroso è che il ragazzino non è russo, sebbene parli solo quella lingua, si chiama Blaise Fortune, è cittadino de la Republique Francaise, sebbene abbia vissuto i primi anni della sua vita nel Caucaso, dopo il terribile incidente.
La buona Galya non era la sua mamma, ma non aveva che lei. Sei uno splendore monsieur Blaise, gli diceva, anche quando gli faceva rapare la testa a zero per evitare pidocchi e parassiti peggiori.
Da lei, bruna, alta, piuttosto in carne, il ragazzo amava farsi raccontare storie. Amava ascoltare soprattutto la sua, di quando la donna era una giovanetta esile, in una regione del Caucaso scossa dai disordini dopo il crollo del regime sovietico. Nei pressi di casa era deragliato un treno, in uno scompartimento rovesciato aveva trovato un neonato, stretto al petto di una giovane francese con la schiena spezzata. I soccorritori avevano portato via madame Jeanne Fortune, ma nessuno aveva pensato al piccolo, che Galya e la sua famiglia avevano tenuto con loro. Cos’altro potevano fare, cosa sarebbe stato di quel bimbo, in un paese sconvolto dalla guerra? Il fidanzato ZemZem e i cinque fratelli della ragazza erano stati mobilitati e non se n’era saputo più niente.
Per allontanare il bambino dalle bombe, aveva lasciato i genitori, ma ma non c’era pace in un territorio devastato. I miliziani li braccavano, insieme agli altri profughi con cui si riunivano e separavano, intrecciando per qualche tempo le vite.
Straordinaria questa donna, con la sua dedizione. Si sforza di insegnargli a Kumail la leggerezza, la ricerca della felicità anche nelle sciagure, la voglia di cogliere il positivo che c’è comunque nelle cose. Qualche perla di saggezza di Galya: Essere felici è sempre caldamente raccomandato, oppure Il mondo è pieno di misteri, prendere o lasciare, un taratatà e vai avanti. E poi la lezione fondamentale sul male più brutto: la disperanza, un parassita che ti rode da dentro se non fai niente per cacciarlo, ti consuma l’anima fino all’osso.
Nel momento in cui tutto sembrava ancora una volta perduto, Galya aveva tirato fuori da una scatola di metallo gelosamente conservata i passaporti di Blaise e di Jeanne e un po’ di dollari americani. Con quelli avrebbero cercato di raggiungere la Francia. Kumail l’aveva già individuata sull’atlante dalla copertina verde che gli ha lasciato un fratello della donna.
Avevano viaggiato a piedi, rubacchiando roba da mangiare in villaggi spettrali e dormendo nei pollai. Coraggio monsieur Blaise, stiamo per arrivare. Ma sono lontanissimi. Consumano tutti i soldi per pagare passaggi in camion e truffatori. Dal Caucaso erano andati in Russia, in Ucraina, in Moldova – nonostante i passaporti taroccati – ospitati un’estate intera in un campo rom, dove una sciupatissima Galya era stata curata per una severa malattia polmonare.
Al confine con l’Ungheria l’aveva vista confabulare con un camionista, poi l’aveva nascosto nel rimorchio, assicurandogli che sarebbe salita davanti.
È così che il 13 dicembre 1997 Kumail-Blaise è stato scoperto dai doganieri in mezzo a un carico di maiali. Addormentato, nonostante la sporcizia e la puzza. Ma lei non c’è. Dov’è Galya e dà di matto, tanto che devono ammanettarlo (nel Paese dei diritti umani), un bambino di dodici anni che parla russo, ma che si dichiara francese nelle quattro parole che conosce della lingua di Baudelaire.
Dov’è finita Galya? Il dolore gli stringe il cuore fino a soffocarlo. Resta accasciato in un angolo, mentre la disperanza gli rosicchia l’anima. Ma come gli ha insegnato lei, non bisogna mai smettere di avere fiducia nel genere umano e c’è sempre un rimedio alla disperazione: la speranza.
Figlio della fortuna
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