Di questa poesia di Jorge Luis Borges appare particolarmente emblematico il titolo, si osservi bene: Fine d’anno, non “L’anno nuovo” o “L’anno che verrà”, l’attenzione è concentrata più sul passato che sul futuro, sulla fine anziché sull’inizio.
In realtà il vero protagonista di questa poesia di Borges dedicata all’ultimo giorno dell’anno è il tempo meravigliosamente condensato in un’immagine dall’alta tensione simbolica: “un attimo che muore e un altro che sorge”. La fine dell’anno in fondo è proprio questo momento estremo, questa soglia inviolata, quasi sacra, tra il vecchio e il nuovo che siamo in procinto di attraversare.
La fine dell’anno è tratta dalla prima raccolta di Borges Fervore di Buenos Aires (1923). In questi versi il poeta raccoglie e analizza le ragioni che ci conducono a festeggiare il Capodanno: per quale motivo abbiamo dato un valore simbolico a questo cambiamento di date, di calendario? Perché celebriamo un processo astrologico?
L’autore prova a spiegarlo tramite un’analisi poetica che trascende nel filosofico, facendo riferimento a uno dei primi filosofi greci, Eraclito, che vedeva nel fuoco l’origine e il principio assoluto di tutte le cose, ovvero l’arché. Il fuoco, la fiamma, per Eraclito è la rappresentazione stessa del dinamismo del divenire, di ciò che brucia ma non si consuma.
Da qui Borges passa ad analizzare il vero mistero, ovvero l’eterno enigma del tempo secondo il quale tutto muta in continuazione, tutto scorre, eppure rimane uguale.
“Fine d’anno” di Jorge Luis Borges: testo
Né la minuzia simbolica
di sostituire un tre con un due
né quella metafora inutile
che convoca un attimo che muore e un altro che sorge
né il compimento di un processo astronomico
sconcertano e scavano
l’altopiano di questa notte
e ci obbligano ad attendere
i dodici e irreparabili rintocchi.
La causa vera
è il sospetto generale e confuso
dell’enigma del Tempo;
è lo stupore davanti al miracolo
che malgrado gli infiniti azzardi,
che malgrado siamo
le gocce del fiume di Eraclito,
perduri qualcosa in noi:
immobile.
“Fine d’anno” di Jorge Luis Borges: analisi e commento
In questi versi Borges fornisce un’analisi compunta, a tratti spietata, dei motivi che ci spingono a festeggiare il Capodanno: perché celebriamo il fatto di cambiare “un tre con un due”? (In questo caso diremmo un tre con un quattro, ma poco importa). La voce poetica poi si alza sfiorando il consueto picco di lirismo, quando riflette sulla metafora inutile:
che convoca un attimo che muore e un altro che sorge
La “fine dell’anno” è esattamente quest’attimo, questa sorta di intangibile sortilegio del tempo ed ecco che Borges si avvicina al cuore dell’enigma, a quella che definisce come “la causa vera” che ci conduce ad attendere con trepidazione il rintocco della mezzanotte.
Il punto focale della poesia è proprio “l’enigma del tempo” che l’autore individua come il vero protagonista di questa strana notte di veglia e di attesa. In essa Borges scorge il miracolo (“el milagro” nell’originale, Ndr) per cui, nonostante il tempo continui a fluire inesorabile qualcosa rimane intatto e immutato nelle persone. Ed è esattamente questo qualcosa che permane, questa identità, che merita di essere celebrata.
Per spiegarlo Borges si serve di un riferimento al pensiero del filosofo greco Eraclito, cui è attribuita la famosa frase panta rei, “tutto scorre” che viene illustrata tramite la celebre metafora del fiume, per cui non puoi entrare due volte nello stesso fiume, poiché l’acqua che ti ha bagnato la prima volta è già fluita via e dunque non è la stessa che ti bagnerà la seconda. Eppure, in apparenza, il fiume è sempre lo stesso. Così è il mondo nell’ultimo giorno dell’anno, osserva Jorge Luis Borges, pronto a mutare, eppure in sostanza sempre lo stesso. Il fiume di Eraclito diventa una metafora della condizione umana: siamo tutte gocce di quel fiume, osserva il poeta, tuttavia in noi perdura anche qualcosa di immobile, di eterno, qualcosa che va oltre la nostra stessa mortalità. In un mondo dove tutto cambia costantemente - osserva Borges - il vero miracolo è ciò che rimane uguale, la permanenza, la costanza, la forza delle cose che durano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Fine d’anno” di Jorge Luis Borges: una poesia sull’enigma del tempo
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