Fiorita di marzo non è una poesia descrittiva, come appare, ma è una poesia contemplativa. Quando scrisse questi versi, nel 1910, Ada Negri era sulla soglia dei quarant’anni. Deve essere per questo motivo che la lirica si configura come un rimpianto della giovinezza perduta. La stagione “nuova” portata dal mese di marzo diventa una metafora. Il miracolo della primavera si ripete ed è un dolce languore di fiori che sbocciano timidi al primo sole, emanando un profumo inebriante e tuttavia fugace. Il vero tema della poesia di Negri non è l’elogio del trionfo della primavera, ma la fuggevolezza del tempo, come si evince dal primo aggettivo presente nel verso di apertura: “breve”.
La primavera descritta da Ada Negri dura il tempo di una fioritura, è un fragile fiore in boccio insidiato dal primo alito di gelo, proprio come l’innocenza della giovinezza che presto cede il passo a una consapevolezza nuova, a un risveglio amaro che permette un’effettiva presa di coscienza della realtà. Sono versi venati di rimpianto: la poetessa si trova non a caso sulla “soglia” - intesa in senso fisico, ma anche metaforico, in quanto a “quarant’anni” all’epoca una donna era già considerata anziana o, comunque, in procinto di intraprendere il lento declino della vecchiaia. La poesia dunque non fu scritta per celebrare il mese di marzo e la rinata primavera; con questi versi Ada intendeva prendere congedo dalla propria “verde età” che ora le appariva come un sogno fugace che non aveva mai avuto un vero contatto con la realtà.
La poesia è contenuta nella raccolta Dal profondo, pubblicata dai Fratelli Treves nel 1921. In questa raccolta sono presenti altre poesie dedicate alla vecchiaia e al sentimento del tempo, come Malinconia che la poetessa apre con un riferimento ai “primi capelli bianchi” e ai primi “solchi di ruga” ed è ambientata, guarda caso, proprio in primavera, come Fiorita di marzo.
Scopriamone testo, analisi e significato.
“Fiorita di marzo” di Ada Negri: testo
La fioritura vostra è troppo breve,
o rosei peschi, o gracili albicocchi
nudi sotto i bei petali di neve.Troppo rapido è il passo con cui tocchi
il suolo—e al tuo passar l’erba germoglia
o Primavera, o gioja de’ miei occhi.Mentre io contemplo, ferma sulla soglia
dell’orto, il pio miracolo dei fiori
sbocciati sulle rame senza foglia,essi, ne’ loro tenui colori,
tremano già del vento alla carezza,
volan per l’aria densa di languori;e se ne va così la tua bellezza
come una nube, e come un sogno muori,
o fiorita di Marzo, o Giovinezza!...
“Fiorita di marzo” di Ada Negri: analisi e significato
La primavera cantata da Ada Negri è connotata da un forte sentimento di perdita: i versi sembrano scorrere attraverso le dita, fluire come acqua, sono inafferrabili, imprendibili, in perpetua fuga. Sembra una sinfonia di passaggio, un interludio. La stagione portata da marzo, il più instabile di tutti i mesi, in effetti è fugace, repentina, la meno stabile di tutte: non ha la lunga permanenza del gelo dell’inverno né il furore accecante ed eterno dell’estate che trascina il mondo in un limbo. La primavera è una stagione di passaggio, di durata breve, dal tempo incerto di nuvole e sole. Per queste ragioni la poetessa la associa alla giovinezza, che è l’età della vita in cui l’essere umano è più fragile, incompleto, incerto, eppure ha in sé tutte le energie per affrontare il futuro, proprio come quei fiori in boccio che si schiudono a fatica sotto la sottile coltre di neve illuminata da una luce timida che ancora non scalda. La metafora governa l’intera poesia, ma solo nel finale ci viene svelata nella sua trionfante verità con un’apostrofe che è anche una personificazione: “o Giovinezza!”. E allora capiamo che quello che l’autrice voleva dirci, in realtà, era un’altra cosa, che i suoi versi intessevano un pianto che non si vede, stracciavano il silenzio con la forza inaudita delle parole, riflettevano la trasparenza muta dell’anima.
Nella terza strofa fa capolino in prima persona anche l’Io lirico, che svolge un’azione precisa eppure connotata da una certa inerte passività: “contempla”, proprio come un filosofo, un pensatore, isolato nel suo mondo di astrazioni. La poetessa si trova in una cornice sicura, al limitare del suo “orto” che allude a un mondo confortante, familiare, addomesticato da attenzioni e cure costanti. Il luogo fisico sembra rimandare a uno spazio mentale, a una dimensione precisa dell’interiorità. Di nuovo l’io lirico scompare, si annulla nel paesaggio; ma infine comprendiamo che non si è mai annullato davvero, perché l’intero paesaggio primaverile è definito da una precisa visione. Ada Negri non ci sta raccontando un idillio di primavera né una scena precisa, la sua poesia non ha finalità descrittive, poiché ciò che lei sta cogliendo in questi versi è un movimento transitorio, uno slancio dell’anima, un sentimento impalpabile come il rimpianto, che è il rovescio più amaro della malinconia. Nei fiori appena sbocciati Ada coglie già lo spettro del loro prossimo sfiorire. Tutto in loro emana una fragilità che pare sul punto di lacerarsi: i colori sono tenui - come acquerelli sul punto di stemperarsi - i loro steli tremano al vento, il loro profumo si dissolve rapido nell’aria. La bellezza è transitoria e, pare, persino incompleta: dopo aver raggiunto il loro massimo rigoglio ecco che i fiori già si apprestano a sfiorire.
Nei fragili fiori di marzo Ada Negri scorge, dalla soglia della propria età ormai matura, il proprio “tempo perduto”. Un tempo era stata anche lei una jeune fille en fleur, un’ardente e delicata creatura della giovinezza; ma quel momento è passato per sempre, è stato un attimo, tanto che ora lei stenta a credere che sia mai esistito, lo ricorda con i contorni sfocati e indistinti di un sogno. La conclusione difatti è lapidaria: “come un sogno muori”. La poetessa sta prendendo congedo da sé stessa, da una parte della sua vita.
Fioritura di marzo appare in stretto dialogo con un’altra poesia contenuta nella raccolta Dal profondo (1921), dal titolo Malinconia, che sembra proseguire la contemplazione silenziosa della donna che osserva il mondo da una prospettiva familiare, eppure al contempo estranea. Le due poesie dovrebbero essere lette di seguito, poiché sembrano esprimere un’affinità intima, esclusiva, ci restituiscono il medesimo ritratto di una donna che, dalla soglia, racconta una primavera per lei ormai irraggiungibile:
Piccola donna stanca
che al tuo balcone guardi Primavera
risorgere fra timida e leggera,
fiori e nidi portando al tuo giardino;
piccola donna stanca,
perché tieni sul petto il capo chino,
mentre il riso dei cieli ed il tepore
ha una dolcezza che ti rompe il cuore?...
La “dolcezza della primavera” rompe il cuore di Ada perché canta una pienezza vitale, un futuro che lei ora sente non appartenerle più. La piccola “donna stanca” avverte di non avere le forze per affrontare la pienezza di un’altra primavera, allegoria di rinascita e di fertilità, perché il suo sentire ormai appartiene alla stagione stabile e non feconda che è l’inverno o alla placida arrendevolezza dell’estate. Fiorita di marzo è una poesia ammantata di rimpianto, il congedo irrimediabile da una giovinezza perduta. L’idillio bucolico della stagione primaverile qui cede il passo a una meditazione nostalgica sulla soglia invisibile che separa - e irrimediabilmente divide - giovinezza e vecchiaia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Fiorita di marzo” di Ada Negri: la poesia della giovinezza in fiore
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