Fratture
- Autore: Irit Amiel
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2010
Nata in Polonia nel 1931 da famiglia ebraica, Irit Amiel trascorre i primi anni della Seconda Guerra Mondiale nel ghetto di Częstochowa e riesce a salvarsi grazie a “documenti ariani”. Tutti i suoi cari vengono deportati e sterminati a Treblinka.
Lascia la Polonia nel 1945 per raggiungere clandestinamente la Palestina mandataria: vi arriverà nel 1947, dopo essere passata per Germania, Italia e Cipro. Da allora vive in Israele, dove ha dato vita ad una famiglia, ha avuto figli e nipoti. Alterna lavori in prosa a raccolte poetiche e traduzioni.
La presente opera, “FRATTURE”, scritta nella lingua materna e sapientemente tradotta in italiano da Marzena Borejczuk, è stata inserita nella rosa dei candidati al NIKE (Nagroda Literacka) 2009, il più prestigioso premio letterario polacco, assegnato da oltre un ventennio al miglior libro dell’anno.
Il merito di averla fatta conoscere nel nostro Paese spetta alla Casa Editrice Keller di Trento, che l’ha pubblicata nel 2010.
Si tratta di ventitrè racconti, alcuni più complessi, altri brevissimi, fulminanti, scritti con stile lieve, profondo, che divertono e commuovono, da leggere d’un fiato, ma pure da riprendere e meditare, per la notevole capacità dell’Autrice non solo di avvicinare i lettori agli universali temi della Shoah, dell’importanza della Memoria e dell’impegno nella Rinascita, ma, soprattutto di porre in luce lo stretto rapporto tra la stessa Shoah e Israele, tra Ieri e Oggi, tra la Perdita, la Morte e la Vita Nuova.
Passato e Presente sono intimamente legati e ciò è ben illustrato dall’immagine posta in copertina dell’edizione italiana: un giardino pubblico -immagino di una città israeliana- e, al centro, l’immagine sfocata, quasi un fantasma, di una mamma con il suo bambino per mano.
Le gelide campagne della Polonia, le lugubri vie delle cittadine -ove col cuore in gola senti avvicinarsi il passo cadenzato dei soldati tedeschi- si alternano alla luce della Terra di Israele profumata dai cespugli odorosi di miele con gli uccellini che fanno echeggiare il loro canto.
I protagonisti delle storie di Irit sono coloro che ella chiama gli “Scottati”, cioè le persone toccate, ma non divorate dal fuoco distruttore, coloro che non hanno visto il volto della Gorgone, ma hanno ricominciato una nuova esistenza nella Terra dei Padri portando con sé un indicibile ed incancellabile bagaglio di dolori e ricordi. Vite fratturate, come, ad esempio, quella di un certo Karol Gitler, già membro di uno “Judenrat” (corpi amministrativi dei ghetti, costituiti da Ebrei, imposti dai Nazisti nei territori da loro occupati nell’Est Europa), che aveva perduto moglie e figli fucilati dai tedeschi, il quale, giunto in Israele dopo aver assunto il nuovo, significativo, nome di Katriel Hai diviene, nella cittadina di sviluppo di Yeruham, non lontano da Be’er Sheva, un abile barbiere (il mestiere l’aveva imparato nell’inferno del campo), ma, soprattutto, un grande maestro di vita, in memoria dei suoi congiunti uccisi, per colui che ci racconta la storia, un cardiochirurgo israeliano di origine marocchina.
Scampoli autobiografici: la vicenda della giovanissima Fania, rimasta orfana delle persone più care, innamorata del Sionismo, la quale riesce a raggiungere la Terra Promessa dopo innumerevoli peripezie. Ma che fatica la vita in kibbutz!
Certo l’epopea dei Pionieri è parte essenziale dell’ethos di Israele, ma lo sono altrettanto le vicende di coloro che sono passati attraverso la Grande Tragedia.
Paradossi spesso atroci, come il caso dei due Shmuel, narrato da una voce femminile, la figlia di una certa Chana.
Che dire degli “Arzigogoli familiari”, di sapore biblico/medievale con quel “vai e vieni” tra Ebraismo e Cristianesimo, rievocati da Itzhak Karmel ?
E ancora il Passato che è sempre Presente, in un legame indissolubile, così ci testimonia Irit, la quale decide di condurre in gita a Eilat, per il 56° anniversario dell’operazione di cattura compiuta nella città natale, l’intero gruppo dei compagni di classe, uccisi nella Shoah. Dolore, amarezza, perfetta consapevolezza nei ragazzi morti di essere stati lasciati soli dal mondo -sentimento di abbandono acuito dalla contemplazione di quella stupenda natura, tanto colorata quanto indifferente…-, senza risparmiare alla superstite frecciatine ironiche.
Irit, sapiente Maestra: capelli d’argento tagliati cortissimi, un sorriso carico di dolcezza.
Ma anche nella Terra della Rinascita la vita porta dolori e disillusione, come testimonia l’amore impossibile, tragico, tra il medico palestinese Salim (Pace) e la giornalista israeliana Tikvah (Speranza), separati dall’incomprensione dei vicini e dall’odio della cosiddetta Intifadah, scoppiata nell’autunno 2000.
Il libro della Amiel ci testimonia quanto l’Universo tremendo della Shoah sia -dolorosamente- fonte inesauribile di Riflessione e di Memoria.
L’Undicesimo Comandamento è: Ricorda. Sempre! Fino alla fine dei tempi! Racconta sempre di noi! Così la Scrittrice si rivolge alla nipote annunciandole nell’ultimo, commovente quadro, la visita dei parenti scomparsi, che giungeranno nel “tuo bel giardino israeliano, che in estate profuma di gelsomino, in primavera di basilico, e in inverno di gatti”.
Ma, oso aggiungere, c’è un Dodicesimo Comandamento: State sempre vigili e attenti ai segnali provenienti da coloro che, non stanchi, vorrebbero ripetere -nell’indifferenza colpevole del mondo cosiddetto civile- l’Orrore compiuto da altri circa settant’anni fa.
Fratture
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