Gaddabolario. Duecentodiciannove parole dell’ingegnere
- Autore: Paola Italia (a cura di)
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2022
A che serve un Gaddabolario, giusto il titolo di un recente volume edito da Carocci? A meglio leggere Carlo Emilio Gadda, intanto.
Un’esperienza per molti impossibile, per altri difficile, per altri faticosamente sublime – e divertente. Sono automatismi della percezione ben consolidati nella vulgata e se ne parlerà spesso nei prossimi mesi vista la ricorrenza del cinquantesimo della morte, avvenuta a Roma il 21 maggio 1973.
A ogni modo, abbiamo a che fare con quel genere di piacere che richiede un apprendistato non trascurabile per chi voglia goderne appieno. Muovendo perciò dalla decifrazione-commento di 219 parole (un numero cabalistico secondo l’osservazione della curatrice del volume Paola Italia, ordinaria di Filologia italiana all’università di Bologna: 219 è infatti il numero civico del palazzo di via Merulana al centro del Pasticciaccio), scrittori, studiosi, ricercatori ci aprono le chiavi per meglio apprezzare il genio linguistico e stilistico che dà corpo alla scrittura gaddiana.
Scrittura necessaria a (e in cui s’incarna) una visione delle cose che un lemma cruciale, gnommero, affidato all’esegesi di Edoardo Camurri, cifra in inarrivabile sintesi: il termine è:
Il centro di tutta la filosofia della nevrosi gaddiana. Indica il groviglio, il garbuglio, il pasticciaccio, il gomitolo inestricabile, il gorgonzola, il guazzabuglio.
Proprio quello nel quale si ritrova il protagonista di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, don Ciccio Ingravallo.
Ora, per rendere il senso della complessità delle umane cose e della loro inesauribile deformazione, scomposizione, iperfetazione Gadda riteneva di doversi affidare a una lingua altrettanto imprevedibile, barocca o espressionista (secondo le varie letture critiche).
Se il Gaddabolario non può certo sostituirsi all’opera dello scrittore, può valere più di un mero strumento di aiuto alla sua lettura, alla stregua di una passeggiata orientativa, di un assaggio preliminare, di un’escursione rapsodica che potrà incuriosire gli ignari e risvegliare sopite sinapsi negli appassionati.
Peraltro, il consumatore di operine oggidiane scambiate per letteratura solo perché pubblicate da editori una volta prestigiosi rischierebbe di ridursi a cavia del sapido sadismo gaddiano: c’è il lemma ludico, che da solo vale un divertissment, ma per lo più l’invenzione linguistica, traslocando dal pastiche di alcuni scritti d’occasione ai grandi romanzi, risponde come si diceva a una precisa esigenza di poetica nel sistema gaddiano. Che, va ricordato, è tragica. Pescando nel regesto, basterebbe individuare alcuni lemmi estrapolati dal finto giallo già citato di ambientazione romana e dal feroce Eros e Priapo, sul fascismo e Mussolini. Costui è descritto attraverso una serie di espressioni satiriche che mostrano quanto la sua stessa retorica, la lingua e la prossemica fossero caricaturali in sé: “il mascelluto e stivaluto sul podio, nano e sciatto batrace da le gambe a roncola, ripieno la gola di menzogne”, dove il batrace, o altrimenti batraco, sta per rospo (dal greco). Altrove, il Teratocefalo duce di un regime stivalista accampa nella sineddoche della calzatura un apparato scenico affatto frivolo, vanitoso, narcisistico (la voce è curata da Alice Borali).
Giorgio Patrizi ci ricorda che l’erotìa è una presenza costante in Eros e Priapo", ma l’occorrenza qui riportata è ancora desunta dal Pasticciaccio (“un certo movente affettivo, un tanto, o direste oggi, un quanto di affettività, un quanto di erotìa, si mescolava ai casi d’interesse, ai delitti apparentemente più lontani dalle tempeste d’amore”); nel pamphlet sul fascismo il termine figura come segnaposto a indicare la “motivazione di matrice freudiana nella celebrazione del duce”.
Peraltro, per il vecchio Gadda, tutt’altro che immune da paturnie persino ottocentesche, la “moltitudine è femmina”: mammillona è il grecismo con cui liquida “la dinamica massa-capo, rapporto quasi carnale” (ancora Borali).
Ecco, il tour de force stilistico si esercita volentieri, via cognizione del dolore proprio e altrui, sull’immancabile stupidità dei propri simili. La cui percezione è sulfurea, grottesca, e non sempre eguagliabile; perché il lettore ride insieme dell’oggetto e del segno linguistico che lo nomina (si tratti di ironia, cinismo, sarcasmo, parodia, invettiva: Gadda non si fa mancare nulla).
In una lingua immaginosa fino al parossismo, il massimo di spazio per la parola ricevuta – meramente informativa, inerte – lo si può intercettare al più in certi esercizi minori, laddove descrive la ricetta di un risotto alla milanese, la cui casseruola “rotonda, e la ovale pure, di rame stagnato, con manico di ferro”, si mostri idonea alla fabbricazione di un “apporto butirroso-cipollino”, ove:
Per piccoli reiterati versamenti sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo appetito prevedibile degli attavolati”.
Questo passo è tratto da Verso la Certosa.
L’inventario è disposizione, passando dalla fame alla sete, ancora nel Pasticciaccio: poiché non c’è galateo che ne approvi la pubblica manifestazione:
A gazzosa ingerita, quando il relativo gaz, come suole, gli era vaporato fuora di ritorno in quella specie di criptorutto nasativo che tien dietro a un beveramento del genere, ecco, il milite aveva sbottonato la giubba, l’aveva aperta a un tantino di comodità e di respiro.
Il criptorutto nasativo, lo sapevamo tutti, ma non sapevamo come dirlo - scusate se è poco.
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