Generali vergogna!
- Autore: Riccardo Rossotto
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2009
I veri responsabili gettarono la croce sulle vittime. Nelle stanze asciutte e ben riscaldate, in quel piovoso fine ottobre 1917, altissimi ufficiali coperti di greche e stellette dettero la colpa ai soldati, li accusarono di sciopero militare, ma la responsabilità della rotta di Caporetto era degli alti gradi, non del povero fante. “Generali vergogna!”: suona come un grido di rabbia il titolo del libro di Riccardo Rossotto, pubblicato dalle Edizioni IBN di Roma nel 2009 (collana Pagine militari, pp. 126, euro 13,00) e tuttora valido a un secolo esatto dagli eventi. L’autore, noto avvocato civilista torinese sessantacinquenne, si occupa da anni di ricerche storiche, anche sulla base di visite dirette ai luoghi dove si sono svolte le azioni belliche. Scrive su riviste specializzate in storia militare e tiene conferenze storiche, nel corso delle quali mette a frutto le sue conoscenze. Il libro è dedicato a un caduto che si comportò valorosamente a Caporetto, il prozio Paolo Oss Mazzurana, capitano degli alpini caduto sul monte Kukli di Tolmino.
Tutto il lavoro è una chiara, dettagliata denuncia: il disastro venne provocato dalla presunzione, incapacità, sottovalutazione e sciatteria militare dei comandanti. Esclusivamente a loro si dovette se il 24 ottobre 1917 un pesante ma previsto attacco austro-tedesco si trasformò in una rovinosa ritirata dell’intera linea italiana, dalla Carnia al Veneto, fino al Piave.
Per Riccardo Rossotto è l’incredulità il primo sentimento che si prova accostandosi alle ricostruzioni della battaglia. Come è stato possibile che la II Armata, la più potente dell’intero esercito, si sia letteralmente liquefatta in due giorni, rischiando di fare uscire l’Italia sconfitta dalla Grande Guerra? La casta guerresca fascista ha preferito continuare ad addebitare la causa alla presunta codardia dei soldati, ma Caporetto si deve considerare piuttosto una grande vittoria del nemico, favorita dall’inadeguatezza dei comandi, dal gen. Cadorna a Capello e Badoglio.
La sfida di questo libro, spiega l’autore, sta nel tentativo di rileggere la battaglia a 360 gradi, per comprendere meglio “come fu preparata” (o meglio non preparata!), con l’aiuto della copiosa letteratura militare sull’evento, arricchita di recente da quella degli avversari di allora.
L’offensiva nemica era tutt’altro che inattesa e non sorprese nessuno, ma divenne travolgente anche per l’esagerata confidenza di Cadorna nelle proprie capacità e per l’infondato progetto di Capello di rovesciarla con una controffensiva.
Ciononostante, a provocare il crollo non fu una circostanza in particolare, ma un insieme di concause, nessuna di per sé decisiva, ma tutte concorrenti a trasformare un insuccesso iniziale nella rottura di un ampio settore del fronte e nella tragica ritirata di più di tre quarti dell’esercito. Altro che sconfitta morale dei soldati, si è trattato di un tracollo causato da ragioni tecnico-militari. Per cominciare, già prima della prima cannonata, la carente preparazione della vigilia, il dissidio Cadorna-Capello, lo schieramento troppo avanzato dell’artiglieria pesante sulla sinistra Isonzo, il mancato sbarramento della stretta a nord di Foni, l’abbandono immotivato della stretta di Saga.
E il mancato tiro dei 500 cannoni del XXVII Corpo d’Armata di Badoglio? Non spararono un colpo ed erano al suo diretto comando, avendo dato disposizione di attendere il suo ordine di bersagliare il nemico all’attacco. Ordine che non venne: comunicazioni saltate, staffette uccise, strade devastate dall’artiglieria opposta, che sparava eccome! E il generale vagante dietro le linee sconvolte senza alcun risultato se non il disastro.
Eppure, sarebbe stato possibile ridurre la portata dello sfondamento – in sé tuttavia non immediatamente contenibile - se non si fossero assunte decisioni incomprensibili, come quella di Saga. Superate tre linee nella conca di Plezzo, gli Austriaci avevano la strada sbarrata dalla stretta, a picco sul fiume Isonzo, posizione difficile da attaccare e facile da difendere. Verso le 16 del 25 ottobre, il gen. Arrighi la lasciò indifesa per arretrare sul Monte Stol, spaventato dalle notizie allarmanti sull’aggiramento in atto da parte del nemico. La verità è che le principali posizioni arretrate non erano affatto cadute e resistere sul posto avrebbe fatto guadagnare tempo prezioso a tutti.
Di fronte a questa serie di gravi errori, la stranezza non fu la sconfitta dei soldati, ma la tenuta di gran parte di loro, nonostante gli eventi avversi.
A cento anni da Caporetto, si deve restituire l’onore militare a un esercito che fu tradito dall’incapacità dei comandi, non dalla sua tenuta. Se fosse ancora vivo, il generale Cadorna dovrebbe rendere conto del grave contenuto del Bollettino trasmesso al Ministero della Guerra, alle 19, 47 del 25 ottobre, quando tutto era fuori controllo in Carnia:
“La mancata resistenza di riparti della IIa Armata vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia”.
I giornali che riportavano il comunicato venero sequestrati e il testo sostituito, ma si era già messo in moto il tritacarne della storia che avrebbe emesso una sentenza di condanna del generalissimo, tuttora senza appello.
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