Gennaio nella poesia di Rainer Maria Rilke appare come portale appena socchiuso sulla strada dell’eternità. L’atmosfera sospesa di questo mese, congelato nel letargo dell’inverno, viene resa perfettamente dalle parole del poeta austriaco che in un breve componimento ne racchiude l’essenza.
Immerso nel bianco candore della neve, il mese di gennaio cantato da Rilke è fatto di silenzio e raccoglimento ed è come un attimo eternamente sospeso. Nella durezza dei suoi ghiacci, nel fragore dei suoi silenzi si può cogliere un frammento di intensità che ci avvicina all’infinito.
Per comprendere appieno la suggestione della poesia Gennaio si deve conoscere l’inverno del Nord, dove la nebbia ti parla al cuore, le strade innevate confondono lo sguardo in un nulla ovattato e il freddo pungente ti penetra nelle ossa. È come il mondo “bene imballato in ovatta bianco-grigia che urgeva contro i vetri in un vaporio di neve e nebbia” descritto nella Montagna incantata di Thomas Mann.
L’incanto sommesso è appunto ciò che caratterizza gennaio, il mese dell’inverno per eccellenza, che rinnega la vita attiva a favore di un’attitudine più contemplativa capace di dischiudere nuovi sentieri per lo spirito. Gennaio di neve ghiaccia e polvere fatata, in bilico tra terra e cielo, a un passo dall’eternità, come lo racconta Rainer Maria Rilke in questa splendida poesia.
Scopriamone testo, analisi e commento della lirica.
Gennaio di Rainer Maria Rilke: testo
Respirano lievi gli altissimi abeti
racchiusi nel manto di neve.
Più morbido e folto quel bianco splendore
riveste ogni ramo, via via.
Le candide strade si fanno più zitte:
le stanze raccolte, più intense.
Rintoccano l’ore. Ne viene
percosso ogni bimbo, tremando.
Di sovra gli alari, lo schianto di un ciocco
che in lampi e faville, rovina.
In niveo brillar di lustrini
il candido giorno là fuori s’accresce,
diviene sempiterno, infinito.
Gennaio di Rainer Maria Rilke: analisi e commento
Gennaio di Rilke è una poesia d’atmosfera che fa della descrizione paesaggistica il proprio fondamento. Il poeta austriaco raccoglie il “visibile” nello sguardo per esprimere “l’invisibile”: l’intera lirica è giocata su questo doppio binario, le due realtà sembrano riflettersi l’una nell’altra e convivere in parallelo come in un gioco di specchi.
Anche la dimensione uditiva svolge un ruolo fondamentale nella lirica: il silenzio diventa un suono cui si contrappone il rintocco del campanile “rintoccano le ore” che sembra un avvertimento o forse un simbolo capace di porre in relazione il mondo dei vivi con quello dei morti. Da questo richiamo ogni bambino, nella sua infantile innocenza, viene infatti percosso avvertendo un freddo pungente che lo fa tremare.
L’accostamento della sensazione del freddo alla staticità della morte, come da tradizione, viene rimarcato dal poeta: tuttavia Rainer Maria Rilke non accosta il mese di gennaio al gelo irreparabile della morte, ma lo fa risplendere in un’inedita intensità di vita che dà nuovo vigore alla transitorietà dell’esistenza.
Ecco che l’occhio si perde in quel “niveo brillar di lustrini” e sembra sporgersi verso l’irreale.
L’incantamento domina l’ultima parte della poesia rendendo tangibile la sensazione di infinito: il paesaggio si fa spettrale, rarefatto, fantasmagorico. Rilke riesce a dare voce all’indicibile racchiudendo nel mese di gennaio, reso eterno dell’immobilità dei ghiacci, tutta l’essenza dello spirito.
Nell’ultimo verso è la luce sfolgorante del giorno a dominare, una luce che si riflette sulla neve come un abbaglio e diventa così più intensa: questo smarrimento si intensifica nel finale in cui “il candido giorno si accresce” e pare inghiottire lo spettatore, o forse il viandante smarrito per i sentieri innevati, inglobandolo nello splendore senza fine di un’alba.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gennaio, il mese “infinito” nella poesia di Rainer Maria Rilke
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