Giallo all’ombra del vulcano
- Autore: Letizia Triches
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2018
Il nuovo libro di Letizia Triches, “Giallo all’ombra del vulcano”, si svolge a Catania ed è talmente denso di riferimenti artistici, storici, mitologici, archeologici che la trama del giallo, pur costruita con un congegno perfetto, finisce per rimanere quasi in secondo piano, mentre emergono con forza le grandi passioni dell’autrice: la storia dell’arte, il restauro dei dipinti, la ricerca d’archivio, lo studio delle fonti storiche, lo studio dell’antica topografia della città siciliana, una delle più ricche della Magna Grecia. Tutto il libro è pervaso da una forma di strana malinconia, quella che aleggia intorno ai personaggi, primo tra tutti Giuliano Neri, il restauratore fiorentino che ritorna in ogni romanzo di Letizia Triches. Un sentimento, la malinconia, che quasi come un leitmotiv, fa la sua comparsa in molte parti del libro e che viene espressa dalle peculiarità caratteriali dei siciliani che compaiono nella storia.
Siamo nell’aprile del 1991, quando il libraio antiquario Giovanni Greco, padre del giovane pittore Elio, viene avvertito proprio dal figlio che Rachele, sua moglie, è sparita da ore. La giovane donna è un’archeologa, appassionata del suo lavoro, per il quale ha fatto scelte difficili e impegnative che l’hanno portata prima a rompere il fidanzamento con Manfredi Catalano, un architetto ricco e fascinoso, figlio del potente Diego Catalano, un costruttore arricchito e forse colluso con affari mafiosi. E poi anche con suo padre, l’avvocato Mariano De Vita, notissimo in città, amico tanto dei Catalano quanto dei Greco, che ha rifiutato l’unica figlia dopo lo smacco sociale dovuto al mancato matrimonio che avrebbe sancito una solida alleanza fra una famiglia di parvenus, i Catalano, e una di antica aristocrazia cittadina, i De Vita.
In realtà tutta la storia sembra avere un fulcro: si tratta della tenuta di Cala Bruna, un’antica proprietà posta su una scogliera tra Aci Trezza e Aci Castello, nomi di verghiana memoria, al cui centro sorge una grande costruzione settecentesca, di proprietà da secoli della famiglia Greco. In quella villa ormai abbandonata che Giovanni Greco ha dovuto vendere al Comune, rendendo possibile la trasformazione del sito da terreno agricolo ad area edificabile, ci sono splendidi affreschi che ritraggono un ciclo del mito di Aci e Galatea, non dissimile da quello di Raffaello presente a Roma, alla villa Farnesina, che hanno bisogno di urgente restauro: Giuliano Neri è stato chiamato da un collega restauratore a lavorare su quei dipinti e, per pura coincidenza, si trova a Catania proprio mentre viene ritrovato il corpo di Rachele De Vita, restituito dal mare, dopo giorni di permanenza in acqua.
Chi ha ucciso la giovane e promettente archeologa con sette colpi di pistola? Chi l’ha gettata in mare scalza? Dove sono finiti i suoi anfibi, la sacca con i suoi attrezzi da lavoro, una pistola che le era stata donata dal mancato suocero e che ora è scomparsa dalla sua Panda? Viene incaricata di far luce sul caso misterioso Elena Serra, un magistrato torinese che si è stabilita a Catania, dagli occhi di diverso colore - si chiama eterocromia -, dalla pelle bianca, dalla voce rauca; il rapporto di simpatia fra la severa dottoressa Serra e il restauratore detective presto si trasformerà in qualcosa di più profondo, più intimo, e certamente anche utile alla ricerca del colpevole. La vicenda si fa via via più intricata e complessa, man mano che vengono capite ed approfondite dai due investigatori outsider le dinamiche che si svolgono tra i vari protagonisti della storia, intrisi di rivalità, inimicizie, gelosie, ambiguità, odi feroci, forti interessi economici, rivalse che sembrano venire da molto lontano.
Letizia Triches domina perfettamente i tempi della storia, accompagnandoci nel passato della vita dei diversi attori, riportandoci nel presente, non perdendo mai di vista le radici che rendono quella parte di Sicilia un luogo mitico, misterioso, dove il passato non passa mai. Catania ha una gemella sotterranea, forse il riflesso della città emersa, il vulcano ha un nome femminile, è detto La Contessa, per via del suo pennacchio di fumo, la mitologia classica ha qui solide radici che si sono perpetuate nel tempo: Aci e Galatea si sono amati su quella terra, ma il ciclope Polifemo, pazzo di gelosia, ha ucciso Aci, e quel nome è rimasto un toponimo in tutta la piana che si estende sotto il vulcano,
“Un mondo di tenebra portato alla luce dal vulcano”.
La città di Catania incanta Giuliano Neri, che la osserva con l’occhio sensibile di chi per professione è attento ai dettagli: la bicromia del barocco, la leggenda dell’elefante, simile a quello romano di piazza della Minerva, le facciate bizzarre dei palazzi cittadini,
“Non solo cariatidi e telamoni, ma anche maschere ed esseri mostruosi che si alternavano a forme più tranquillizzanti... Architetture animate da una folla di creature antropomorfiche, che in seguito altri artigiani avrebbero trasferito in altri materiali: il legno, lo stucco, l’oro. Un intero popolo emerso dalle viscere della terra stessa per mischiarsi in mille modi, apparentemente innocui, alla vita degli esseri umani”.
Quello che colpisce di più in “Giallo all’ombra del vulcano” è la capacità di Letizia Triches di tenere insieme il fuori e il dentro, ciò che emerge e ciò che resta nascosto, la superficie delle cose e la loro profondità, la lingua colta e il dialetto, il passato e la tradizione con l’attualità e la contemporaneità.
I suoi personaggi sembrano riflettere la tanta diversità che circonda il nostro vivere, sia per la loro età diversa - penso ai tanti giovani presenti nelle pagine del libro -: l’entusiasmo culturale e l’amore per la sua terra che spingono Rachele verso posizioni coraggiose ed estreme e che la porteranno ad una morte drammatica, pur nel suo sogno estremo di volare. L’amore per l’arte, per i paesaggi della memoria, che consentiranno a suo marito Elio di sopravvivere alle sventure; il desiderio di verità e di giustizia di Stella, troppo giovane per il malinconico Giuliano. E poi gli adulti, i loro compromessi, la loro durezza nel perseguire con tutti i mezzi progetti solo tesi al profitto economico o al prestigio sociale, a rischio di perdere tutto.
L’amore per l’arte che aleggia nelle pagine del romanzo, espresso attraverso l’amore che traspare per la Sicilia, che dopo Venezia sembra aver incantato la scrittrice, si declina non solo nelle pagine dedicate alla mitologia, alla pittura, alla archeologia, all’antica toponomastica, ma anche nella scelta di intitolare ognuno dei 26 capitoli di “Giallo all’ombra del vulcano” ad una canzone: molte di esse, notissime, riecheggiano dentro di noi a fare da colonna sonora ad una storia che racconta Rachele, il sogno di volare, di scoprire, di studiare, di rispettare il passato e il suo straordinario patrimonio. Una archeologa funzionaria di Soprintendenza che sacrifica tutto ad un ideale di valorizzazione e di conservazione, una moderna eroina che viene celebrata in questo romanzo troppo pieno perché possa essere riassunto, ma tanto stimolante da richiedere una seconda lettura… Le voci di Mina, Mia Martini, Gianna Nannini, Fiorella Mannoia, si mescolano con quelle di Fabrizio De André, Lucio Dalla, Lucio Battisti, Antonello Venditti, Ivano Fossati, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, Zucchero, Riccardo Cocciante, e mentre ricordiamo le parole di quelle canzoni, scopriamo altre trame, altri sentimenti, altri sapori, altri profumi, altre luci, l’incombere del vulcano, il colore del mare, amico e nemico dei siciliani, il porticciolo di Ognina, che ci fa tornare alla mente il più potente romanzo siciliano, “I Malavoglia”…
“Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano perfino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare”.
Ecco la citazione letteraria che non poteva mancare per concludere la lettura del “Giallo all’ombra del vulcano”, perché mito e letteratura sono intrinsechi alla cultura dell’isola, perché
“Nel bene e nel male in Sicilia si è contagiati dal mito ovunque. Il mito è rimasto impigliato in questa nostra terra”
sono le parole con cui Giovanni Greco, il libraio che vive di sogni e di libri, di ricerca e di studio delle origini della sua terra, forse il più affascinante tra i tanti personaggi del romanzo, sintetizza nel modo più efficace il messaggio di speranza che la cultura possa salvarci, che Letizia Triches ha voluto consegnarci con il suo romanzo.
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