Lo spirito filosofico del Rinascimento può essere colto a pieno considerando la vita e le opere di Giordano Bruno, un filosofo in cui la tradizione magico-ermetica convive con i primi importanti nuclei teorici dell’età moderna.
In Giordano Bruno, nella sua vita e nelle sue opere, ritroviamo le inquietudini e i sommovimenti dottrinali dai quali venne scossa la Chiesa del Cinquecento, una vicenda personale eroica e affascinante, ma anche un punto nodale del pensiero filosofico, dove maturano e sono portate alle estreme conseguenze idee rivoluzionarie che, lungi dall’essere una prerogativa della sola età moderna, trovano le proprie radici profonde nella fase finale del Medioevo.
La vita di Giordano Bruno
1548 Filippo Bruno nasce a Nola (da qui l’appellativo di Nolano), nel Regno di Napoli, in Gennaio.
1564 Si trasferisce nella capitale del regno per studiare.
1565 Entra nel convento di San Domenico, sempre a Napoli, dove fu ordinato sacerdote e gli fu imposto il nome di Giordano; manifesta subito uno spirito irrequieto, insofferente e ribelle.
1572 Acquista il titolo di dottore in teologia.
1576 In seguito ad alcuni atti sconvenienti nei confronti del suo ordine – fu sorpreso a leggere un libro di Erasmo, autore messo all’Indice; mise in dubbio il dogma della Trinità e si interessò, discutendone, delle dottrine di Ario, ritenute eretiche – ricevette una denuncia da parte di un domenicano. Impaurito, Giordano Bruno fugge a Roma e dopo aver abbandonato la tonaca, scappa a Ginevra. I successivi quindici anni della sua vita sono un susseguirsi di spostamenti e di esili, intervallati da continue adesioni a tutte le confessioni del cristianesimo dalle quali ottenne puntualmente scomuniche ed espulsioni.
1576-1580 Dopo essersi reso inviso ai vertici dell’Università di Ginevra si sposta a Tolosa dalla quale fugge pochi anni dopo, impressionato dagli scontri tra cattolici e protestanti.
1581 Enrico III di Francia, suo ammiratore, crea una cattedra al Collegio Reale, appositamente per lui, Bruno quale apostata, non avrebbe potuto esercitare alla Sorbona e decide di cogliere l’occasione.
1584 accompagna l’ambasciatore di Francia in Inghilterra dove riscontra la benevolenza e l’apprezzamento della regina Elisabetta I; tiene anche alcune lezioni a Oxford, dove fu contrastato da alcuni oppositori. Pubblica le sue opere prinicipali a Londra, senza rinunciare alle sue scomode teorie, per questo, al suo ritorno in Francia, Enrico III è costretto a metterlo al bando.
1585 Si rifugia in Germania, a Wittenberg e a Francoforte, dove trova personalità disposte a sostenerlo: alcuni documenti testimoniano che per un pensatore come lui, si è disposti a praticare, in via del tutto eccezionale, una forma embrionale di tolleranza religiosa. Nonostante ciò Bruno è soggetto al mutamento d’umore dei teologi ed è costretto a spostarsi da una città all’altra, da un regno all’altro della Germania.
1591 Stanco dell’esilio e delle continue peregrinazioni decide di tornare in Italia dove il nobile veneziano Giovanni Moncenigo lo denunciò al Santo Uffizio.
1592 A Venezia inizia il processo contro Giordano Bruno che venne costretto a ritrattare le sue dottrine.
1593 Il filosofo venne trasferito a Roma e sottoposto a un nuovo processo nel quale venne condannato a morire bruciato sul rogo. Dalle minute del processo che danno conto degli interrogatori e gettano luce su molti aspetti del pensiero del Nolano si apprende che il frate, pur disposto a rinunciare alle dottrine magico-ermetiche che, peraltro, ebbero un ruolo centrale nel suo pensiero, non accettò mai di rinnegare quel nucleo duro della sua filosofia che coincideva con l’infinità dell’universo.
1600 La condanna è eseguita a Roma, in Campo dei Fiori, il 17 febbraio. Bruno scelse la morte proprio per testimoniarne la veridicità delle sue dottrine più profonde che non rinnegò mai.
Le opere di Giordano Bruno
Pensatore estremamente prolifico, autore di innumerevoli opere, molte delle quali anche perdute, capace di una scrittura poliedrica, Giordano Bruno lascia ai posteri trattati, opere teatrali e dialoghi filosofici. Più che elenchi e partizioni importa, però, il fulcro del pensiero e delle dottrine che in quelle opere sono contenute.
Giordano Bruno può essere inserito nella tradizione dei maghi-filosofi del Rinascimento e il suo stesso pensiero ha carattere magico-ermetico: proseguendo e radicalizzando il discorso iniziato da Marsilio Ficino, Bruno propugna una sorta di gnosi rinascimentale, ossia un messaggio di salvezza, una nuova religione si potrebbe dire, improntata alla religiosità egiziana degli scritti ermetici nei confronti della quale le dottrine neoplatoniche che egli recupera hanno un ruolo strumentale e fungono da impalcatura concettuale. Bruno stesso si proclamò un egiziano convinto e affermò la necessità di un ritorno alle fonti pagane della magia rinascimentale e ai culti della Grecia classica: si sente profeta di una religione nuova e, al contempo antichissima, che cerca di recuperare e diffondere. Tale intento è sorretto, oltre che da motivazioni dottrinali, anche dalla temperie storica in cui l’autore si muove: alla fine del XVI secolo, epoca ricca di manifestazioni di intolleranza religiosa, l’ermetismo diventa un rifugio di tolleranza, quasi una meta-religione capace di unificare sette contrapposte.
Le prime opere di Bruno, tra cui spiccano il “De umbris idearum” (1582) e il “Sigillus sigillorum” (1583), sono dedicate alla mnemotecnica, l’arte di memorizzare informazioni e concetti, molto praticata nel Medioevo e nel Rinascimento, per la quale Bruno ottenne l’ammirazione e la protezione di sovrani quali Enrico III ed Elisabetta I. Il Nolano, proseguendo quel recupero e quella riscoperta dell’arte della memoria che anche altri maghi-filosofi rinascimentali avevano praticato, intende questo sapere non solo come un metodo mnemonico ma anche come una via alla conoscenza. Ombre delle idee, piuttosto che le cose sensibili, sono le immagini magiche che rispecchiano le idee della mente divina e di cui gli oggetti sensibili sono copie; imprimere nella mente queste immagini magiche (archetipiche potremmo dire, con gergo junghiano), consente di ottenere un riflesso dell’universo intero nella mente e di acquisire non solo un potenziamento della memoria ma delle capacità intellettive nel loro complesso. Tale metodo, presupponeva un sistema di localizzazione mnemonica, un ordine che, acquisito con tecniche associative, era coincidente con l’ordine cosmico stesso. La memoria, facoltà appartenente all’immaginazione, consentiva all’uomo, egli stesso immagine di un macrocosmo immensamente più vasto di lui, di comprendere questo mondo attraverso l’esercizio e di entrare in comunione con il divino.
I dialoghi italiani - rappresentazioni sceniche del suo pensiero - possono essere distinti in dialoghi metafisici, come “Della causa, principio et uno” (1583, 1591), “La cena de le ceneri” (1584) e “De l’infinito, universo e mondi” (1584), dove illustra i principi base di tutte le conoscenze e dialoghi morali, come “Lo spaccio della bestia trionfante” (1584) e “De gli eroici furori” (1585), dove contrappone alle religioni positive una visione dell’universo inteso come manifestazione divina. Composti durante il soggiorno inglese, raccolgono le dottrine illustrate da Giordano Bruno durante l’insegnamento ad Oxford dove una visione cosmologica copernicana, caratterizzata dalla concezione eliocentrica e dall’infinitudine dell’universo, è collegata alla magia astrale e al culto ermetico del sole già professato da Marsilio Ficino. L’impalcatura filosofica che sorregge la visione religiosa di Bruno pone come principio primo una “mente sopra le cose”, una causa prima da cui tutto il resto procede e deriva che rimane, però, inconoscibile.
Neanche dagli effetti di questo primo principio è possibile giungere a una conoscenza completa della causa, dal momento che l’universo stesso è infinito. Bruno intende però, questo primo principio non come trascendente ma come immanente: per il Nolano
“Tutto è vivo”
nel senso che la vitalità del mondo è la stessa vitalità che Dio ha profuso nella materia; non si tratta di vita divina, è piuttosto la vita del cosmo che diventa vita divina, dal momento che è l’universo a configurarsi come un’espansione della stessa vita di Dio.
Giordano Bruno, pur non essendo uno scienziato, è il primo a propugnare un sistema coerente da contrapporre a quello aristotelico-tolemaico che, attraverso la mediazione di Tommaso d’Aquino, era stato fatto proprio dalla chiesa cattolica. Oltre ai presocratici, ai pitagorici, a Platone e ai neoplatonici, tra le fonti di Bruno da richiamare per comprendere la sua visione cosmologica troviamo Cusano e Copernico. Dal primo apprende che l’universo è “senza termine”, di esso non è possibile conoscere i limiti quindi, la terra non è più al centro di nulla, e dell’universo non si danno centri fisici; l’unico centro (metafisico) è Dio, tanto centro quanto circonferenza, dove l’inizio e la fine coincidono. Se da Cusano coglie l’idea di un universo non chiuso e non finito, da Copernico mutua l’intuizione (platonica e pitagorica) che la causa dei fenomeni possa essere determinata correttamente, solo se alla sfera terrestre fosse stato attribuito un movimento circolare; la terra in Copernico, però, pur muovendosi intorno al sole, permane, comunque in un universo chiuso, il sistema solare limitato dalle stelle fisse. L’avanzamento di Bruno è l’esplicita comprensione il sistema copernicano conduce all’infinitudine dell’universo. Archiviando l’idea di un cielo ultimo di stelle fisse, Bruno ritiene, sotto l’influenza di Cusano, che le stelle non siano più immobili ma possano essere assimilate a dei soli; soli in numero infinito da cui dipendono infiniti altri astri, in un universo anch’esso infinito. Armonizzare Copernico e Cusano significa utilizzare l’ordine del primo per dare un senso e una coerenza a l’infinito che il secondo pur avendo intuito, aveva lasciato indefinito e anarchico.
Bruno tematizza, quindi, una metafisica processionistica, di stampo plotiniano: dalla “mente sopra le cose”, il principio supremo e inconoscibile, deriva un Intelleto universale, tutto immanente alle cose, una “mente nelle cose”, una facoltà dell’Anima universale, inscindibile dalla materia e dalla quale scaturiscono le forme immanenti alla materia.
Per questo in Giordano Bruno tutto è animato, tutto è vivo: le forme sono la struttura dinamica della materia, l’anima del mondo è in ogni cosa e in tale anima è presente l’intelletto universale, fonte perenne delle forme che si rinnovano continuamente. Date queste premesse è facile capire come Dio e Natura, forma e materia, atto e potenza, in definitiva coincidano.
L’infinito di Dio e quello dell’universo non sono, tuttavia, della stessa natura: il primo è semplice mentre il secondo è frammentato e complesso, più precisamente, come sarà poi anche per Spinoza, vale il motto deus sive natura, dove Dio è al contempo natura naturans e natura naturata, Dio è cioè principio dell’emanazione ma al contempo anche universo che Dio informa e conforma incessantemente, in modo necessario e infinito. L’Universo infinito, inteso come emanazione di Dio è composto di innumerevoli mondi chiusi, separati da vuoti che ne rendono impossibile la comunicazione, per questo è ritenuto frammentato e non semplice come il principio primo. Scrive Giordano Bruno in “De la causa principio et uno”:
“È dunque l’universo uno, infinito, immobile. Una, dico è la possibilità assoluta (...) uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser esser compreso; e però infinibile ed interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, attesto che sia il tutto. Non si genera; perché non è altro essere che lui possa desiderare o atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non si può sminuire o crescere (...) Non è alterabile (...); non si agguaglia, perché non è altro ed altro, ma uno e medesimo; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto”.
Questa teoria è gravida di conseguenze, anche teologiche, importantissime e funeste, come dimostra la vicenda personale del frate: un universo infinito fa cadere l’antropocentrismo professato fino allora dalla Chiesa perché la terra, e con essa l’uomo, è solo uno tra gli infiniti mondi, collocato in un universo infinito e perciò privo di qualsiasi centro. In un sistema processionistico oltre a venir meno la creazione dal nulla affermata dalle Scritture, non si ha più separazione netta tra creatore e creatura, se Dio è intrinseco e immanente all’universo oltre a venir meno la sua trascendenza si va incontro anche al rischio di divinizzare l’universo stesso, ovvero la natura. Per Bruno, infine, se l’universo è l’unica mediazione tra l’uomo e la divinità e in ogni sua molecola vi è un riflesso dell’anima di Dio, una figura come quella di Cristo e un concetto come la redenzione diventano superflui, dal momento che l’eucaristia e la comunione con la divinità possono essere raggiunte attraverso la contemplazione dell’universo stesso.
Due altri scritti, in lingua latina restano da considerare per completare la rassegna delle principali opere di Giordano Bruno: il “De triplici minimo et mensura” (1591) e il “De monade numero et figura” (1591) nei quali la teoria del minimo e della monade è elaborata per conciliare unità e molteplicità, immutabilità dell’essere e mutevolezza degli enti. Nel primo vengono attribuiti al minimo differenti nomi, secondo i differenti aspetti della natura: il punto è, ad esempio, il minimo della superficie mentre l’atomo lo è dell’uomo; nel minimo, nelle sue differenti manifestazioni, nascono, coesistono e si riducono l’oggetto e il fine della natura e dell’arte. Nel “De monade”, Giordano Bruno, riutilizzando dottrine pitagoriche, individua una struttura numerica dell’universo, che nella ha sua origine nella monade, necessaria a spiegare il rapporto tra le parti e spiega il processo divino in base al quale questo rapporto si è costituito. L’unità dell’universo può essere colta solo considerando le ombre delle delle idee, quei segni, basi dell’arte combinatoria, che instaurano legami e rimandano alle idee vere e proprie, a quella struttura del cosmo a quell’unità che l’intelletto può conoscere con la mnemotecnica, nella quale il molteplice si risolve nell’Uno.
All’uomo, privato della sua centralità cosmologica e messo ontologicamente alla pari di tutti gli altri enti dal momento che è costituito della stessa materia spirituale e fisica, nonostante l’abissale sproporzione con Dio e con la sua infinità, è comunque concessa una parziale conoscenza del divino: egli può infatti conoscere l’universo, l’immagine di Dio stesso, con un atto di eroico furore (“De gli eroici furori” come titola uno dei dialoghi morali) ovvero con superamento di sé stesso che ha, appunto, lo scopo di ritrovare Dio. Un’esperienza, analoga all’amore platonico, che rimane una prerogativa solo dei pochi che, con un impeto razionale, continuano a tendere verso una perfezione superiore, non appagati dai piaceri sensibili.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giordano Bruno: la vita e le opere
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