Romana Petri vive tra Roma e Lisbona. Editrice, traduttrice e critica letteraria, collabora con Il Messaggero e La Stampa. Ha scritto undici libri, tra romanzi e antologie di racconti, ottenendo premi e riconoscimenti prestigiosi, tra cui il premio Mondello, il Rapallo-Carige e il Grinzane Cavour. È stata inoltre finalista del premio Strega nel 2001 e nel 2013. Con il romanzo Tutta la vita (Longanesi 2011) ha vinto la seconda edizione del Bottari Lattes Grinzane 2012. Lo scorso anno è uscito presso Longanesi Figli dello stesso padre. Le sue opere sono tradotte in Olanda, Germania, Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Portogallo.
È da poco nelle librerie Giorni di spasimato amore (Longanesi 2014),
delicato racconto di un amore senza fine e del sogno impossibile di un uomo che “stava un po’ più verso il cielo che attaccato alla terra”. In una Napoli che al termine della II Guerra Mondiale a fatica tentava di ricostruirsi un futuro, Antonio per contrasto era fermo al passato, a quell’amore vissuto intensamente e perduto troppo presto.
“Della donna che amo non posso accarezzare nemmeno l’ombra”
eppure Lucia con la sua lunga treccia nera e gli occhi screziati d’oro era sempre presente nella memoria del suo innamorato. Solo la visione del mare aveva il potere di calmare lo scompiglio che Antonio si portava dentro il cuore la cui storia che “veniva considerata strana e oggetto di tanti lazzi e risate, da anni affascinava tutto il quartiere”. Una delle più sensibili autrici contemporanee ci ricorda che “ogni persona è storta per natura a modo suo” quindi inutile affannarsi a capire le cose, giacché
“per capire bisogna perdonare. E per perdonare ci vuole il Padre Eterno. Questo è compito solo suo”.
- “Ci sono nostalgie dolorose e scarnificanti; ci sono nostalgie sognanti e dolcissime; ci sono nostalgie che fanno vivere, e nostalgie che fanno morire”. Signora Petri, per quale motivo ha posto come esergo del volume la frase dello psichiatra Eugenio Borgna tratta da L’arcipelago delle emozioni?
Credo che il romanzo risponda da sé, in fondo tutta la storia di Antonio nasce da un sentimento di grande nostalgia che poi si trasforma in qualcosa di ancora più profondo e radicato. Leggo l’opera del prof. Eugenio Borgna da almeno vent’anni e ne sono una grandissima ammiratrice. Purtroppo non ho mai avuto la fortuna di incontrarlo di persona. Mentre scrivevo il romanzo, pensavo che forse solo un medico così sarebbe stato utile ad Antonio, un medico dell’anima e non un uomo della biologia come il medico che Antonio ha incontrato sul suo cammino.
- Ci descrive la personalità di Antonio che ha nel cuore una ferita che nessuna medicina potrà mai curare?
Antonio è prima un ragazzo, poi un uomo che non rinuncia alla sua anima di fanciullo, che non rinuncia ai suoi sogni. Ci sono persone che la vita sanno spezzettarla, per lui non è così. Antonio avrebbe voluto che tutto si fosse compiuto, ha una visione circolare della vita. Le cose devono cominciare e poi finire per ricongiungersi lì da dove sono partite. Invece la sua storia è stata interrotta appena cominciata, e lui, uomo degli assoluti, ha voluto portarla a termine a tutti i costi. Anche se a modo suo.
- Molto bello il rapporto tra Antonio e sua madre Donna Silvana. Ce ne vuole parlare?
L’amore materno, per me, è sempre un amore inclinato, un gesto che ci vede costantemente protesi verso l’altro. Antonio lo ha assorbito così bene che ne ha tratto spunto per ogni forma di amore. L’amore è uscire da se stessi per occuparsi dell’altro, abbandonare la posizione eretta per assumere quella “inclinata”. Forse lui è uscito un po’ troppo “fuori da sé”, ma credo l’abbia fatto in sostituzione di una felicità mancata che in questo modo è riuscito a ritrovare quasi intatta.
- Per quale motivo ha deciso di ambientare la storia di un’ossessione amorosa nella Napoli del dopoguerra?
Napoli, per me, è la città italiana più incantatrice, l’unica con un’anima sudamericaneggiante. Per le ossessioni ci vogliono le voci delle sirene, la capacità di lievi allucinazioni, di spaesamento sfantasiato. Le parti più importanti del romanzo si svolgono tutte d’estate, stagione estrema, vaneggiante. Questa è la storia di uno spasimato e vagheggiato amore, ambientarlo ai nostri giorni mi sembrava poco plausibile. Oggi non impazziscono più d’amore nemmeno le donne, figuriamoci un uomo! L’attraversamento della guerra mi è parsa un’ambientazione molto in sintonia con le aspettative di Antonio. In fondo, in quegli anni, tutti hanno aspettato l’arrivo di una vita migliore.
- “Il mare era diventato il suo unico orizzonte”. Che cosa rappresenta il balconcino di Posillipo per il protagonista?
Rappresenta la sua filosofia, la concentrazione necessaria per finire inghiottito da se stesso e andarsene a girovagare tra i suoi liquidi in cerca di risposte, ma senza essere condizionato dal mondo esteriore. Antonio non vuole assolutamente essere condizionato dalla realtà, non ci tiene proprio a essere come gli altri. Nell’isolamento, di fronte allo spettacolo assoluto del mare, si consola.
- Trascorre frequenti periodi di tempo in Portogallo. Com’è l’Italia vista dalla terra lusitana?
Italia e Portogallo hanno pochi punti di contatto. In Italia si parla poco di Portogallo, e in Portogallo ben poco d’Italia. Tutto sommato, però, sono più gli italiani che visitano la terra lusitana, soprattutto Lisbona. Oggi, con la crisi economica, i paesi europei in maggiore difficoltà si somigliano un po’ tutti. Diciamo che le condizioni del “piccolo” Portogallo sono ben peggiori delle nostre e che l’Italia, vista da lì, per assurdo che possa sembrare, mi sembra ancora ricca di privilegi.
- Una recente indagine della Commissione Europea, basata su 26mila interviste e condotta fra i 27 Paesi della UE, ha stabilito che gli italiani che non nutrono nessun interesse culturale in 6 anni sono passati dal 40% al 49%: solo un italiano su due legge almeno un libro l’anno. Nella Sua veste di editrice ci lascia un Suo parere al riguardo?
Esiste un terribile preconcetto che domina il mondo. È un preconcetto, e come tale è stupido. Si è convinti che quando i soldi scarseggiano le prime spese da eliminare siano quelle che riguardano il mondo della cultura. Si arriva perfino a pensare che con la cultura non si possa migliorare l’economia. Ma è un preconcetto molto stupido. Per questo resiste così tanto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giorni di spasimato amore: intervista a Romana Petri
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bellissima intervista. Ho già divorato il libro che mi è piaciuto tantissimo. Straordinaria Petri, non fallisce un colpo!!!