Giovani, nazisti e disoccupati
- Autore: Michele Vaccari
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2010
Un romanzo con una svastica in copertina: l’ho appena finito e mi è piaciuto, contro ogni mio pregiudizio.
Non mi ha portato ai limiti estremi di
personale godimento che provo nel leggere un buon romanzo, non mi ha gettato nei recessi oscuri di
personale disperazione che frequento quando leggo un romanzo orrendo. Mi ha chiuso a chiave (gesto
sicuramente violento che ogni autore deve compiere nei confronti del lettore per essere credibile) nella
testa del protagonista, mi ha gettato nei limiti estremi del suo sadico godimento, nei suoi recessi fetidi
di giovane che non si sente giovane, che sembra odiare molto, quasi tutto, ed amare poco, quasi niente,
con ostinata convinzione sfociante in picchi deliranti.
Un ragazzo che si sente un vecchio diventa nazista,
senza reale convinzione, solo per liberare la stanza di fianco alla sua da tre punkabestia. Appena letto “Giovani, nazisti e disoccupati” di Michele Vaccari (Castelvecchi, 2010), qualcuno potrebbe definire il protagonista “ragazzo finito
nel vortice dell’estremismo politico dopo essere stato licenziato e lasciato dalla fidanzata”, accoppiando
un “povero” a “ragazzo” , nel caso si tratti di una lettrice mamma-che-ti-giustifica-come-fossi-figlio-suo.
Io leggo nelle pagine una serie di scelte volontarie, una serie ostinata di obiettivi, perseguiti fedelmente,
cinicamente, e tutti raggiunti, oltretutto con i metodi più feroci, incivili, violenti possibili. Umiliare il nuovo
ragazzo della tua ex? Facile, lui l’ha fatto. Liberarsi di coinquilini fastidiosi? Nulla di più facile. Liberarsi di
nuovi amici troppo invadenti? Nulla di più elementare, fatto, tutto fatto nella maniera più brutale.
Si può pure diventare eroi, in questo romanzo, ma per caso, non per volontà. Si può compiere un atto
d’amore, uno solo, ma spinto dagli eventi, in un attimo di panico, di improvvisazione massima. Perché la
volontà del protagonista è spietata e contorta, se potessi direi malata, e non posso solo perché regalerei
attenuanti a chi non ne chiede. E se è un eroe, è eroe tra gli squali della finanza o in un covo di trafficanti di
anfetamine o in una setta di cannibali. Ma se questo è un eroe, non lo è nell’universo dei romanzi. Qui, al
massimo se vogliamo proprio etichettarlo banalmente è un antieroe, ma solo perché è anti-tutto. Viene da
chiedersi se quel poco che prova per una donna sia amore, perché se lo è, allora deve essere amore post-moderno, sessualmente avido e sentimentalmente nullo, paranoico e tetramente ossessivo.
Se leggi queste
pagine e provi profonda avversione per il protagonista, benvenuto.
Benvenuto se anche tu hai chiuso a chiave nel tuo profondo tutte le tue pulsioni più instabili, benvenuto se chiuso a chiave nella mente del protagonista le hai ritrovate e ti sei ritratto schifato, perché ti sei riconosciuto.
Riconoscimi. Ce lo dice dalla prima pagina, sono io. Sono io quel che tu non vorresti essere mai e che
potrebbe essere tuo figlio, nel mondo che gli hai costruito intorno. Prova schifo, ma guardami. Guardami
fino alla fine, fino a dove posso arrivare. Fino all’unico atto d’amore di tutto il romanzo.
Ma tutto questo è rapporto personale ed esclusivo con il protagonista, mio rapporto personale ed esclusivo
da lettore, con lo scrittore.
Se riusciamo a finire un romanzo, di solito già è decente. Se riusciamo a seguire un protagonista perfino
nell’universo esploso della sua esistenza, nella sua discesa personale per direttissima agli inferi, allora il
romanzo è discreto. Ma se è buono il romanzo, che ci fa amare l’eroe, allora deve essere buono anche
quel romanzo, questo romanzo, che il protagonista ce lo fa odiare. Deve essere buono il romanzo che ci ha
gettati a terra, malmenati da ragionamenti contorti, disgustati da vendette trasversali e tradimenti cinici,
nauseati da impulsi deliranti, e ci fa odiare tutto, pagina dopo pagina, e all’improvviso al nostro fianco c’è il
protagonista cosi maledettamente vicino, ad odiare tutto insieme a noi.
Giovani, nazisti e disoccupati
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