Giovanni Formisano. Poeta e commediografo
- Autore: Marco Scalabrino
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2012
E vui durmiti ancora s’intitola la serenata siciliana cantata anche da Fiorello e da Bocelli. I versi sono struggenti, accorati. È già mattino e dal mare s’è levato il sole. L’innamorata, deliziosamente bella, dorme ancora. Anche gli uccelli attendono che lei s’affacci dal balconcino; i fiori non possono sbocciare senza vederla, non ce n’è uno che voglia far mostra di sé se prima non si apre quel balcone. La voce cantante, quella dell’innamorato, l’invita a non dormire più: anela a vedere il suo volto così bello. “Basta, non dormite più”: insieme a loro, nella stradina, c’è lui che vi trascorre tutte le sue notti, aspettando soltanto che lei si affacci. Quando sul fronte della Carnia, durante la prima guerra mondiale, un soldato siciliano la cantò in una notte lunare e di cielo pieno di stelle, anche gli austriaci, sebbene non ne avessero compreso il senso, levarono voci di plauso per l’incanto che la canzone aveva suscitato in loro.
All’autore della lirica, musicata a Malta dal concittadino Gaetano Emanuel Calì, Marco Scalabrino ha dedicato il bel saggio “Giovanni Formisano. Poeta e commediografo” (Edizioni Drepanum, Trapani, 2012). Vi si trovano parecchie indicazioni sulla genesi e sull’evoluzione del brano, apparso intorno al 1910 sul giornaletto dialettale catanese Lei è lario. Ebbe subito successo il motivo e immediata, ampia fu la diffusione. È meritorio l’avere riportato in appendice una “piccola” antologia in modo da consentire al lettore di familiarizzare con alcuni suoi componimenti timbrati da una versificazione scorrevole e musicale. Il nostro studioso, che ricostruisce l’ambiente culturale catanese di quel periodo, guarda con estrema sensibilità e con la consapevolezza del critico all’opera di Formisano “Campani di la Virmaria” (Edizioni Greco, Catania, 2000) :
“volume che riunisce una selezione delle sue poesie già edite nei lavori dal 1905 al 1951, nonché un esiguo drappello di altri componimenti”.
Sono testi, scelti appositamente dallo stesso autore, classe 1878, che all’epoca aveva già settantasette anni e godeva del meritato successo. Il titolo da lui dato è indicativo di un particolare stato d’animo: quello di chi è consapevole della fugacità della vita e della sua in particolare:
“Sugnu a la fini di lu me viaggiu”.
“Virmania” nel dialetto siciliano è l’ora del vespro, allora annunciato dal suono delle campane: metaforicamente, dunque, è quella dell’approssimarsi del compimento di un’esistenza. La sua poesia è visiva e ha il sapore della vita semplice scevra da inquietanti domande. Profondamente vi predominano gli affetti:
“Sintennu dda campana, /ognuno ca si trova pri la via / si leva la burritta, / si fa la cruci, isa l’occhi ‘n celu”.
Uno dei punti-forza della tematica è l’idillio, il bozzetto, il quadretto che non esclude lo sguardo al mondo di pena e di povertà. Le descrizioni hanno un’anima. Leggendole il lettore intuisce quanta capacità umana e quanto amore per la propria lingua abbia avuto questo poeta nell’appropriarsi di uomini e di cose legati dal cuore. Il discorso di Marco Scalabrino si rivolge anche alle commedie ed egli si sofferma su un dato significativo, riportando la succosa notazione di Francesca Romana Puglisi:
“L’autore precorre i tempi, delineando il personaggio della donna lavoratrice che rivendica i propri diritti e che trova eco nella donna di oggi. Attento osservatore, di sicura dimensione veristica, egli si guardava attorno, osservava uomini, vicende e cose per raccontare poi le storie di vita”.
Ecco, allora, la cifra linguistico-semantica di Giovanni Formisano: lo stretto intreccio tra vita e letteratura.
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