Giù nel cieco mondo
- Autore: Jesmyn Ward
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: NNEditore
- Anno di pubblicazione: 2023
La prima arma che ho mai impugnato è stata la mano di mia madre
Basta questa frase per far sì che l’immaginazione inizi a produrre scenari possibili in cui può collocarsi questo libro. Ma la verità è una sola.
Non si è mai davvero pronti per leggere questo libro. Questa è la realizzazione che balza agli occhi appena leggete i primi tre capitoli del testo.
Giù nel cieco mondo di Jesmyn Ward, pubblicato da NNEditore nella traduzione di Valentina Daniele, è la brutale dimostrazione di quanto non si sia stati in grado di capire fino in fondo cosa si nascondeva tra queste pagine.
Da un lato è lampante che si ha davanti una storia profonda, che tratta di temi complessi e dal forte impatto emotivo sul lettore, ma dall’altro non si riesce a comprendere fino in fondo cosa ci si debba aspettare, almeno fin quando le pagine non cominciano a scorrere, la trama si approfondisce e alla fine si arriva alla conclusione in un turbinio di parole, fatti e contrasti talmente forti da risultare anche difficili da assimilare.
La storia di una schiava.
Anais è la protagonista della storia, una giovane ragazza nata nella casa del padrone di sua madre e dunque anche il suo. Vive in quella che è una piantagione di riso nella Carolina del Nord e, mentre di giorno si muove agile tra i diversi compiti che le sono assegnati - sognando di poter prendere attivamente parte, e dunque non più attraverso il filtro di una porta che le permette a stento di origliare cercando di apprendere quante più nozioni le è possibile, alle lezioni di letteratura che un insegnante impartisce alle figlie del suo padrone - la sera si inoltra nel profondo della natura in compagnia della madre che le insegna a combattere con strumenti costruiti da colei che era la nonna. Insegnamenti questi che hanno lo scopo di instillarle conoscenza, forza e consapevolezza di sé e della propria discendenza. Non è solo una schiava, ma è parte di una comunità resiliente che non si è mai dimenticata da dove proviene e quali fossero i suoi antenati.
Come la madre, la sua storia nella piantagione della Carolina termina con l’invio al mercato locale e al conseguente acquisto che la costringe, legata ad altre donne altrettanto schiave, a intraprendere un estenuante viaggio verso la Luisiana dove il suo status comunque non varierà.
Pensavo che ci fossero modi migliori per morire
In questo viaggio difficile, doloroso sia fisicamente che emotivamente, Anais fa scoperte importanti. Scopre che la fame e la sete e il dolore non possono essere la causa della sua morte perché è attraverso di loro che porta a galla una forza che prima, negli addestramenti di sua madre, aveva solo accarezzato. In questa tratta, tra le ferite sanguinanti, la stanchezza e le punizioni corporali impartitele dagli uomini che scortavano il suo gruppo, fa la conoscenza del fantasma che ha guidato prima di lei la nonna e la madre. Una figura volubile, che talvolta è benevola e talvolta mostra tratti malevoli, quasi nocivi per la protagonista ma che in fondo ha lo scopo di farla maturare e sostenere. Un fantasma che nell’economia della trama ha una particolare rilevanza messa in luce solo parzialmente lasciando talvolta margini inesplorati del suo carattere.
Spero che mia madre guidi una barca ben salda, con una grande vela bianca sulla via d’acqua celeste tra i mondi. Il suo vascello fa parte della flotta risorta che naviga nell’Acqua. [...] Donne sicure e lungimiranti. Le ampie strade si aprono e scintillano per loro, ribollenti di ghiaccio e di luce, di acqua e di spirito. Il bianco della luce delle stelle le sosterrà. Danzeranno con il rollio del ponte. Canteranno
Il dolore come motore del racconto.
È impossibile non notare come il dolore sia una costante profonda di questo racconto. L’autrice si preoccupa molto di far percepire questo male al lettore grazie a una scrittura che scende molto in profondità, è descrittiva e finisce per penetrare a forza nell’animo con una naturalezza talvolta straniante. Ma oltre al dolore, una componente fondamentale è il realismo magico che qui è preponderante e plasmato in modi per lo più calzanti nelle immagini evocate. Capita però che ci siano sezioni di testo dove il realismo magico non sembra funzionare come in altre, anzi è quasi stancante, come fosse una formula troppo iterata per calzare a pennello.
Forse la pecca di questo romanzo è che alla fine dei conti è una storia con poca realtà e molto (troppo) spirito, gli manca quella spinta che lo renderebbe davvero un testo incredibile, completo e straziante come la trama meriterebbe; non è il classico romanzo della Ward, come se alla fine fosse una storia che doveva raccontare e basta.
Giù nel cieco mondo
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