Gli armeni
- Autore: Gabriella Uluhogian
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2009
La professoressa Gabriella Uluhogian ha insegnato letteratura armena all’università di Bologna.
D’origine armena ha scritto diversi libri per aiutarci ad addentrarci nella cultura della prima nazione convertita al cristianesimo. Gli armeni (Il Mulino, Bologna, 2009) è un testo divulgativo, semplice, ben scritto e fondamentale per accostarci con umiltà e modestia a una tradizione secolare. Inoltre ci aiuta a conoscere il perché di uno degli olocausti più terribili della storia.
Armenia è una piccola repubblica, è indipendente dalla URSS dal 1991. Popolazione orgogliosa vive in un territorio sfortunato, arido, carico di pietre, con temperature elevate in estate e freddo neve d’inverno.
Colpito pure da un drammatico terremoto nel 1988, l’Armenia è un paese speciale da visitare, per sperimentare un momento di fascino spirituale e umano.
Nonostante la loro posizione asiatica, gli armeni, la loro cultura, la storia sono tipicamente europee:
“Gli armeni sono geograficamente in Asia, ma il loro modo di vivere … hanno grande affinità con la cultura europea …” (Pag. 109)
L’ARMENIA OGGI
Oggi gli armeni sono circa sette milioni, di cui circa seimilioni sono osservanti della chiesa armena apostolica. I cattolici di rito armeno sono circa cinquecentomila, altre minoranze sono armeni protestanti. La liturgia, la lingua sia della chiesa apostolica armena, sia di quella cattolica armena sono identiche.
Il Catholicos, la più alta gerarchia della chiesa apostolica risiede in Ejmiacin. A meno di un’ora di viaggio dalla capitale Erevan, Ejmiacin è un luogo di tradizione, di vita religiosa.
Nelle chiese, nei monasteri c’è una guida – non solo religiosa e spirituale – ma una conduzione esistenziale per l’intera Armenia. Perché essere armeno ed essere cristiano è la stessa identica entità. Per la prima nazione convertita al cristianesimo, non esiste altra scelta. Nonostante la disperazione delle tante disfatte e dei tanti lutti, l’olocausto, la diaspora, le guerre, gli armeni continuano a resistere grazie al cristianesimo. L’orgoglio e di essere esclusivi nasce dalla volontà di essere nazione perfino se si abita a Venezia o negli Stati Uniti.
La professoressa scrive:
“È stupefacente che nel momento della massima dispersione non solo territoriale, ma spirituale e morale del popolo armeno, qualcuno pensasse e mostrasse che esisteva una «nazione» armena, identificandola nella sua Chiesa.” (Pag. 141)
Non è una teocrazia, non c’è connivenza fra un partito e la chiesa come è accaduto in Italia, è qualcosa di più. È il simbolo, la fermezza di essere indipendenti e orgogliosi, di continuare a esistere e a mostrarsi decisivi.
IL KARABAGH
Nella storia attuale c’è un avvenimento di guerra, il segno di voler esistere a tutti i costi.
L’Armenia al nord confina con la cristiana ortodossa Georgia, ma le altre nazioni confinanti sono musulmane. Oltre la storica nemica Turchia, c’è l’Iran – i cui i rapporti sono buoni, tanti turisti iraniani, superano il confine per divertirsi con maggiore libertà – e poi c’è l’Azerbaigian. Anche l’Azerbaigian fu una ex nazione dell’URSS, indipendente dal 1991. Nella confusione post caduta muro, i confini sono stati tirati con delle righe, senza considerare la reale situazione politica ed economica. Il bizzarro comportamento ha creato, all’interno dell’Azerbaigian musulmano, un’intera area di civiltà e di origine armena: la regione del Karabagh.
“Il 13 febbraio del 1988 un’improvvisa manifestazione di popolo a Stepanakert, il centro più importante della regione autonoma del Karabagh, enclave armena assegnata nel 1921 alla Repubblica dell’Azerbaigian, chiedeva l’annessione all’Armenia. … una settimana dopo, un’imponente adunata popolare a Erevan …” (Pag. 71)
La loro legittima richiesta di annettersi all’Armenia provocò una guerra. Ci fu una tremenda rappresaglia degli armeni abitanti in Azerbaigian, e viceversa una fuga di turchi-azeri verso il paese islamico.
Nel 1990 scoppiò la guerra, la quale durò quattro anni. Per arruolarsi nell’esercito armeno arrivarono perfino volontari provenienti dalla diaspora. Gli armeni riuscirono nel loro intento e nel 1994 ci fu l’auto proclamazione della Repubblica indipendente del Karabagh, con capitale Stepanakert.
Questo episodio di guerra è sintomatico della tenacia di esistere e di sopravvivere a dispetto delle difficoltà economiche e il terremoto. L’Azerbaigian è una nazione potente, ricca di petrolio e ancora oggi, non avendo concluso un trattato di pace, mantiene un atteggiamento ostile violento.
Gabriella Uluhogian ci narra le origini storiche e religiose dell’Armenia, i tanti santi e gli episodi di resistenza e di martirio. Considera fondamentale l’istituzione della lingua armena.
Nel 404-405, per il desiderio di leggere la Bibbia, nasce l’armeno:
“… per l’iniziativa congiunta della Chiesa e della corte … la sopravvivenza dell’identità armena: la creazione dell’alfabeto … “ (Pag. 28)
Si tratta di una lingua nuova, unica, senza nessuna parentela o derivazione:
“… l’armeno … è una lingua isolata e a sé stante, nonostante presenti singoli fonemi e strutture condivise con le altre lingue indeuropee.” (Pag. 110)
La determinazione di costruire dal nulla una lingua particolare, a difesa della propria cristianità, è stata un’elevazione morale e spirituale dell’esclusiva identità nazionale.
Se il cristianesimo è la volontà ideologica, la lingua è la sua spada.
Con queste due definizioni l’Armenia si è conservata nonostante le ansie per le battaglie perse.
La tradizione racconta di una lingua nata da una diretta derivazione divina, consolidando l’importanza per la scrittura. E se una popolazione ama scrivere, i frutti sono i libri.
E qui bisognerebbe parlare a lungo del paradiso dei libri armeni: la biblioteca Matenadaran a Erevan. Una visita nell’edificio dell’architetto Mark Grigory è doverosa per apprezzare e conoscere le artistiche opere contenute al suo interno. In vendita, nel bookstore del museo, si trova anche una piccola guida sulla biblioteca scritto dalla stessa Gabriella Uluhogian:
“Qualche volta il copista raccomanda al lettore di trattare bene il libro, di non toccarlo se non con mani pulite, di non farvi colar sopra la cera delle candele …
…
… esso è talvolta chiamato «prole» vivente di chi non ha figli e, come una persona, può cadere «prigioniero» dei nemici … gli ridanno la libertà …” (Pag. 164)
Salvo rare eccezioni manca un’evidenza di arte pittorica in Armenia. L’unica forma esistente è la miniatura e l’illustrazione dei volumi.
La passione per i libri si è rinvigorita nel tempo con la traduzione, non solo della Bibbia, perfino di opere di studiosi antichi, come i filosofi greci e arabi. All’interno nella biblioteca è possibile trovare opere fondamentali, salvate e conservate esclusivamente grazie alla traduzione degli studiosi armeni.
L’ARTE IN ARMENIA
Oltre la miniatura, la bellezza artistica dell’Armenia si esalta e si riconosce con le croci scolpite nella pietra:
“… caratteristico dell’arte armena è il khatchkar la «croce-pietra», stele eretta con la croce incisa sulla faccia occidentale. Negli esempi più antichi, si tratta di una semplice croce, più tardi di una croce con i bracci «fioriti», che terminano in volute raffiguranti un tralcio piegato, mentre i due germogli che escono alla base annunciano che la croce è sorgente di vita. Su queste croci raramente appare la figura del Cristo, perché simbolicamente, alludono alla Resurrezione.” (Pag. 167)
Se ne trovano di tutti i tipi, dimensioni, incise nella roccia, oppure da pietre immense o minuscole. Attraversando l’Armenia in visita dei luoghi sacri siamo attratti e stupiti dal paesaggio montuoso, arido; eppure lungo le strade o perfino nei posti più impensabili all’interno delle montagne, possiamo osservare le croci khatchkar.
Sono belle, orgogliose come il loro popolo, allegre per i bellissimi fiori, gioiose perché dalla croce dopo tre giorni c’è stata la resurrezione e la salvezza.
L’OLOCAUSTO TURCO
Negli anni precedenti la prima guerra mondiali, gli armeni in Turchia erano numerosi e formavano, soprattutto a Istanbul, un settore importante della borghesia dell’impero ottomano.
Il genocidio inizierà nel 1915 e sfocerà in un massacro nascosto per tanto tempo e negato con violenza, tuttora, da tutti i governi turchi. Per la maggior parte degli studiosi non fu una guerra di religione – in Turchia viveva una considerevole comunità ortodossa – ma una spietata pulizia etnica.
“Nel 1913 un colpo di stato portà al potere il triumvirato …
…
… nella notte dell’11 aprile 1915 … a Costantinopoli vennero fermate alcune centinaia di personalità della comunità armena: giornalisti, scrittori, avvocati, deputati.
…
Solo pochissimi riuscirono a ritornare …
…
Venne così decapitata l’intellighenzia armena …” (Pag. 59)
Da qui nacque l’olocausto. Ma le tensioni fra armeni e turchi sono sempre esistite. Nel 1896 un gruppo di armeni armati assalì la Banca Ottomana. Gli aggressori si salvarono grazie alla protezione delle ambasciate straniere e furono trasportati all’estero. Ci fu una rappresaglia sanguinaria.
La professoressa non entra in un’analisi delle ragioni e dei motivi, perché ancor oggi, di fronte al negazionismo turco è difficile estrapolare un pensiero storico abbastanza preciso.
Tutto iniziò da Van:
“Nella città di Van … sfociò nell’autodifesa della città …
…
… e il sospetto che quelli abitanti nell’impero ottomano fungessero da quinta colonna a favore del nemico, fu ed è la giustificazione turca di questa deportazione in massa.” (Pag. 60)
Di certo la pulizia etnica accade durante un periodo storico epocale, tanti radicali cambiamenti stavano avvenendo. La prima guerra mondiale era scoppiata, l’impero ottomano era sotto attacco per il ritorno dei tanti nazionalismi da loro soggiogati; in Grecia i preti ortodossi del Monte Athos stavano guidando la rivolta.
Di fronte a tante paure in Turchia accade un dramma nel silenzio atroce di tante troppe voci.
Ancor oggi è difficile approfondire un discorso.
A Istanbul vivono circa quarantacinquemila armeni. La scrittrice turca Elif Shafakne in La bastarda di Istanbul ci racconta – in una seducente storia tutta al femminile – le difficoltà a spiegarsi, a parlare, a chiedersi scusa :
“Be’, mia cara Madame Anima Esiliata e mia cara A Girl NamedTurk la verità è … che certi armeni della diaspora in realtà non vogliono che i turchi riconoscono il genocidio. Se mai lo facessero, ci sfilerebbero il tappeto di sotto i piedi e ci toglierebbero il legame più forte che ci tiene insieme. Proprio come i turchi si sono abituati a negare le loro malefatte, noi armeni ci siamo abituati a crogiolarci nel vittimismo. A quanto pare certe vecchie abitudini andrebbero cambiate da entrambe le parti.” (ElifShafak, La bastarda di Istanbul, Rizzoli, Milano, 2007, Pag. 288)
IL MONOFISIMO
Non si può parlare degli armeni senza intraprendere una non facile discussione sul monofisismo. Se ci chiediamo perché la chiesa armena apostolica sia separata, bisogna partire dal concilio di Calcedonia:
“… il concilio di Calcedonia (451) … Gli armeni non parteciparono … conobbero con molto ritardo la definizione di Calcedonia e la formula, con i difficili concetti di physis e prosôpon, sembrò non ortodossa agli armeni. La Chiesa … si attenne alla formulazione di Cirillo di Alessandria: «una sola natura incarnata del Logos divino», rifiutando sia gli estremismi del monofisismo eutichiano … la condanna di Calcedonia si ebbe solo nel VI secolo … la Chiesa armena … giacobita, la copta e l’etiopica, fu tacciata di monofisismo … Solo in tempi recenti si è definito il monofisismo armeno come «verbale» e non sostanziale. Oggi si preferisce denominare queste Chiese col termine «precalcedonite».” (Pag. 81)
Come possa essere Gesù Cristo sia Dio, sia uomo è una tesi teologica alimentata da polemiche, confronti e tanti dissidi. L’autrice imbocca la strada dell’unione anziché soffermarsi sulle differenze. Definire “verbale e non sostanziale” il monofisismo armeno è un’abilità linguistica notevole di tanti studiosi attuali.
Gli armeni
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