Gli inquilini
- Autore: Bernard Malamud
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: minimum fax
- Anno di pubblicazione: 2008
Ecco un libro interessante che merita di essere letto, grazie anche a Minimum fax che si impegna a ripresentarci alcuni tra i più bei lavori d’oltreoceano che forse rischiavano di andare nel dimenticatoio. Un libro particolare, coinvolgente e che presenta diversi spunti di riflessione.
In un’America che, frastornata, si dibatteva tra dubbi bellici e problematiche razziali, Gli inquilini di Malamud si colloca in modo naturale e quasi prepotente prendendo parte a quel dibattito più o meno pubblico che investiva politica e società.
Harry Lesser è uno scrittore che vive in un condominio destinato a essere demolito. Ultimo inquilino, non vuole lasciare il suo appartamento, nonostante le insistenti e interessanti proposte da parte del proprietario dell’immobile. Uomo metodico e abitudinario ha deciso che completerà il suo romanzo lì dove lo ha cominciato. La routine è rotta però dall’arrivo di un altro scrittore, Bill Spear, con il quale si instaura un rapporto complesso e competitivo dovuto alle diverse origini (bianco ebreo l’uno, afroamericano l’altro), alla diversa cultura e al diverso approccio alla vita, allo stesso amore per la letteratura. A complicare le cose ci si mette la ragazza dello scrittore nero, alla bellezza della quale lo scrittore bianco non è indifferente.
Questa la trama, interessante a mio modo di vedere (per Malamud alla base di un libro c’è decisamente una storia che deve funzionare e convincere), per mezzo della quale l’autore interviene nel confuso confronto politico di quegli anni che seguirono il Sessantotto, dove il dilemma razziale era soltanto uno dei problemi reali con cui la coscienza pubblica e popolare si confrontava.
Ma non solo il punto di vista socio-politico. A confronto sono anche due diversi modi di fare arte: da una parte una letteratura che aiuta chi scrive a vivere e ad avere quello che la vita momentaneamente gli nega (Lesser scrive dell’amore perché non se ne sa niente con la speranza di capirci qualcosa), dall’altra una letteratura volta tutta all’azione, a spingere altri uomini verso quell’ideale che lo scrittore sposa (un libro "nero" per Spear). Da un lato una forma elegante, dall’altra una forma stridente e che crea rottura. Due forme diverse ma che si cercano in qualche modo e si ammirano (Lesser capisce la portata rivoluzionaria e la potenza innovativa di quello che l’afroamericano scrive, mentre Spear è affascinato dallo stile e dalla forma dell’altro). I due si cercano, si invidiano ma restano sulle proprie posizioni, nella ricerca di quel finale che possa dare completezza all’opera. Un finale che sembra non arrivare.
Base comune sembra comunque essere che, lungi dall’essere quel modo di dare sollievo a chi la pratica, l’arte diventa quasi un’ossessione. In un mondo che è decadenza e distruzione (gli edifici intorno cadono uno dopo l’altro sotto la palla demolitrice della gru) neanche la roccaforte dell’arte sembra avere solide mura.
Come scritto nella prefazione da Aleksandar Hemon questo
non è un libro da leggere sotto una calda coperta davanti al caminetto mentre fuori la neve ricopre il mondo di armonia. È un libro da odiare o da amare, che fa litigare con se stessi o con il mondo intero. Una lettura da cui si esce arrabbiati, combattuti - e vivi.
Alcune frasi che mi hanno colpito
Scrivo bene ma parlo male, pensò Lesser. Scrivo bene perché faccio tante revisioni. Quello che dico non posso correggerlo e spesso è sbagliato.
Tuttavia uno, in un certo senso, è libero nella misura in cui si sente libero
Gli inquilini
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