Gli occhi che non ridono
- Autore: Maria Teresa Atzori
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2010
Gli occhi che non ridono è una silloge di Maria Teresa Atzori (Edizioni del Leone, 2010, p. 91) con prefazione di Paolo Ruffilli. In coda chiudono il libro 10 haikai che illuminano una meditazione intensa sul bene e il male, sulla forza del destino, il dolore, la capacità di risorgere dopo le prove che la vita impone giocoforza. In copertina, due occhi di ragazza ci interrogano assorti, con il fascino di un’icona bizantina: si tratta del particolare di un ritratto a penna dello scultore e pittore Tristano Alberti.
Il titolo esprime in sintesi la poetica di Maria Teresa Atzori, esplicitato dalla dedica:
"Ai miei genitori Nerina e Salvatore / Ai bambini che soffrono / Ai loro genitori / A chi si dedica agli altri con amore"
Vediamo qui come la mancanza di sorriso, qualunque ne sia l’origine, necessiti di chi "si dedica" con altruismo da samaritano, con amore ancora una volta terapeutico, perché, recita un haiku dell’autrice
"L’arcobaleno / abbraccia le colline. / Siamo fratelli".
La "social catena" auspicata da Leopardi nella Ginestra non cade nel vuoto.
L’opera si divide in sezioni che tracciano un percorso. Si inizia con Una lama curva, la morte, colei che falcia:
"Insaziabile morte / sei una lama curva / senza occhi. / Per questo tu non vedi / gli steli / che hai falciato. / Dove hai deposto / i mazzi / di rose e di giaggioli? / Trapiantali solerte / nello spazio".
La domanda sul "dove" rimanda all’esistenza di un aldilà che possa riequilibrare il dolore dello strappo, che non sempre avviene secondo leggi di giustizia, come nei versi dedicati all’esecuzione di Karla Tuker, giustiziata in Texas il 4 febbraio 1998. Di fronte al de profundis generale e inarrestabile si eleva la preghiera del perdono:
"Pietà Signore / per l’umanità che ti appartiene / debole corpo del Tuo corpo".
La seconda sezione, Dove andranno le lacrime dei bambini, è dedicata all’infanzia, la cui esistenza è troppo spesso violata nell’anima e nel fisico:
"Gigli calpestati / nelle notti senza fine / ascoltano la ninna nana / da una stella nana. / La pietosa luna / prepara una culla bianca".
Il tono elegiaco è musicale, sommesso e delicato. Accanto alle multiple vicende del mondo, straziate, sono incastonati ricordi personali dell’infanzia svanita, perduta ormai: "le nostre risa / solo polvere". Restano però fiabe da inventare, dove le conchiglie diventano "argentate damine" e "Premurosi valletti / i pesci d’oro".
"Il mare all’occasione / diventa maggiordomo".
L’immaginazione della prima età si è conservata nella creazione poetica.
La terza sezione, Rizoma, è un amarcord non solamente rievocativo. Toccante Nel Giorno del Ricordo, lirica per il padre e la madre, protagonisti del tragico Esodo istriano e di ciò che oggi viene riconosciuto come pulizia etnica, perpetrata in Istria dall’ideologia comunista titina. Non solamente rievocazione, perché il rizoma è metafora di eternità.
La quarta sezione, Sulla via, palesa il cammino dell’anima che apprende attraverso gli sforzi e la dura lezione del dolore, sorretta da forze interiori infuse dal mondo soprannaturale. Nel cammino ci si può smarrire, quando lo sforzo sembra insostenibile:
"Mi areno nei perché / del vivere e morire / tace la voce del mio Sé".
Anche Cristo sulla croce conosce il silenzio e la solitudine della prova, condannato in modo infamante. M. T. Atzori è la voce dell’innocente oppresso. Ma la luce ritorna:
"Pur nello sconforto / sappi che sei viva. / in queste ore meste / cucita sulla pelle / hai la tua veste: / la dignità".
L’augurio finale è per chiunque, è Eros cosmogonico che lava ogni ferita:
"Possa l’alto sguardo / sommo lume pietoso / essere chiarore caldo / divenire mano tesa / a nostra ardua ascesa".
Nuovamente lo sguardo è protagonista del libro, ma non più il nostro caduco destinato a spegnersi, bensì quello "alto" che tutto vede, sa e soccorre.
Da aggiungere una curiosità legata a questo libro meditato e sofferto ma denso di speranze, assolutamente luminoso: il titolo proviene da un incontro dell’autrice con il pittore futurista Tullio Crali in una galleria d’arte a Trieste, in cui il pittore esponeva i suoi ultimi quadri. Crali con fine psicologia affermò che Maria Teresa Atzori rideva con la bocca ma non con gli occhi, specchio di interiorità consapevole, provata ma mai piegata.
Anche l’autrice si dedica alle arti figurative, pittura e fotografia. Le sue poesie hanno una forte componente coloristica e immaginifica. Esprimono la grande compassione cristiana e buddhista, karuna, senza la quale è impossibile la convivenza umana e neppure la redenzione, superamento e trasmutazione dell’Ombra, qui intesa in senso junghiano, un archetipo, l’oscuro fondo, l’abisso da cui tutti veniamo, su cui alita il soffio divino che genera la vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gli occhi che non ridono
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