Gli occhi dell’eterno fratello
- Autore: Stefan Zweig
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2014
Stefan Zweig pubblicò questa leggenda indiana - una sorta di apologo sulla giustizia e sulla nonviolenza - nel 1922. Protagonista di “Gli occhi dell’eterno fratello” (Adelphi, 2014) è un nobile e antico guerriero di nome Virata, che nel corso di una cruenta battaglia in difesa del re, uccide involontariamente suo fratello, il cui sguardo accusatore tornerà a tormentarlo negli occhi di qualsiasi vittima dell’ingiustizia del mondo.
Proprio decidendo di rinunciare a qualsiasi sopraffazione e violenza, nel corso del racconto Virata va astenendosi da tutti gli incarichi e le responsabilità che gli vengono affidate ufficialmente. In primo luogo, quindi, comprende che per mantenersi in accordo con
“la potenza del dio dalle mille forme”
deve rifiutare ogni guerra e spargimento di sangue, perché
“chi partecipa al peccato di dare morte è lui stesso morto”
Ma la sua sensibilità rifugge anche dall’esprimere giudizi e dal condannare, in quanto
“solo chi la riceve sa che cos’è la percossa, non chi la infligge; solo chi ha sofferto può misurare la sofferenza”
e
“chiunque amministri la giustizia agisce ingiustamente e incorre nella colpa”
Sceglie quindi una passività che possa garantirgli l’innocenza, assumendo su di sé la natura di
“morto nella vita e vivo nella morte”
consapevole che ogni potere incita all’azione, e ogni azione interferisce nel destino degli altri uomini.
L’unica possibilità di conquistare la purezza assoluta sembra risiedere per Virata nella scelta di una vita contemplativa e solitaria, lontana da ogni possesso materiale e dalle passioni, immerso nella natura. Nemmeno in questo modo ci si può però sottrarre al male involontario recato al prossimo: isolamento e sapienza imperturbabile sono infatti strumenti della superbia, e non è possibile evitare la violenza, sia che si scelga di agire o di non agire.
L’estrema liberazione dall’imposizione di sé si può scoprire soltanto nell’umiltà delle mansioni più modeste e disprezzate, perché
“solo chi serve è libero”
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La storia narrata da Stefan Zweig riguarda Virata, un nobile guerriero che molti anni prima della venuta su questo mondo di Buddha, ha percorso la strada dell’illuminazione. Virata affronta tutti i cambiamenti di consapevolezza che l’esistenza gli dona, fino a raggiungere l’illuminazione suprema. Questo percorso è narrato con un linguaggio poetico, incisivo, terribile, grazie al quale Zweig incastona nelle nostre teste un personaggio multiforme che cerca incessantemente di non nuocere agli altri ma di trovare un equilibrio quasi impossibile fra la sua vita e la libertà delle altre persone.
Virata è un guerriero, spietato ma giusto, forte e imbattibile che comprende quanto la sua vita sia lontana dalla giustizia quando, proprio per un atto di giustizia, uccide senza saperlo suo fratello. E allora lascia la spada e diventa il giudice più giusto fra i giusti, fino a quando non comprende che giudicare è una responsabilità insopportabile, perché genera conseguenze che non si possono comprendere se non vengono vissute sulla propria pelle. Nella sua personale ricerca della verità, Virata non vuole insegnare nulla ma vuole solo separarsi dalla violenza, dalla colpa che il potere genera nel momento in cui si impone sugli altri. Tuttavia, anche l’isolamento più radicale, l’eremitismo più severo generano conseguenze che influiscono sugli altri.
Virata è un esempio per tutti, le sue azioni inevitabilmente influenzano il pensiero di chi lo osserva o peggio di coloro che vengono a conoscenza del suo comportamento e delle scelte che compie. L’unico modo per affrancarsi dal pericolo di influire sulle menti delle altre persone è quello di vivere in modo da non essere nemmeno più un esempio.
Zweig racconta una storia, una favola allegorica che ricorda Siddharta di Hermann Hesse, un Buddha ante litteram che cerca l’illuminazione. Tuttavia, Virata non è un maestro, non vuole esserlo, è un essere umano che si rende conto con sgomento che le sue azioni portano doni insignificanti come il potere, la gloria, la fama, la popolarità, per poi instillare nell’anima il peccato, la violenza, la severità, la cattiveria e indirettamente anche l’omicidio. Tutto parte da questo, da un fatto di sangue, dal quale scaturisce la consapevolezza di Virata, appresa nel tempo che, sia un fatto tragico, immenso nella sua drammaticità come un omicidio, quanto un fatto piccolo, insignificante, come un esempio indiretto, per sentito dire, porta a conseguenza che possono essere gravi.
Zweig ha scritto un piccolo gioiello, la cui allegoria sfugge qualsiasi categoria e rappresenta una verità dai molteplici ritorni.
Grazie Fulvio di questo intenso commento, che illumina e arricchisce la mia recensione.