Gli ultimi della steppa
- Autore: Maja Lunde
- Genere: Fantascienza
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2020
La giovane scrittrice norvegese Maja Lunde dedica il suo bel romanzo Gli ultimi della steppa, tradotto da Giovanna Paterniti per Marsilio (2020), a un tema davvero scarsamente frequentato dalla narrativa: quello dell’estinzione probabile di alcune razze di animali a causa del surriscaldamento globale e comunque delle mutazioni metereologiche che si vanno preparando. Si tratta in questo caso di una razza di cavalli selvaggi, i Cavalli di Przewalski, dal nome dello scienziato che per primo si rese conto che quegli animali, che provengono dalla preistoria e sono immortalati nelle immagini delle pitture rupestri, avrebbero avuto una fine inevitabile.
Da qui parte il racconto di Lunde, che si svolge in tre diverse epoche, in luoghi diversi, con le diverse storie degli uomini e le donne che nel tempo hanno contribuito alla salvezza di quei preziosi animali, capaci di parlarci delle nostre remote origini.
Per la mia scarsa dimestichezza con il mondo animale, che pure qui occupa una parte significativa della narrazione, dirò che sono rimasta affascinata soprattutto dagli umani protagonisti del romanzo: Michail Alexandrovic, un gentiluomo di San Pietroburgo che affida a una relazione del suo viaggio in Mongolia, nel 1882, il racconto di quella straordinaria avventura vissuta insieme a un compagno, il tedesco Wilhelm, che lo asseconda e lo spinge alla ricerca dei cavalli selvaggi che lui vorrebbe portare in Russia, nel giardino zoologico di San Pietroburgo di cui è infaticabile curatore.
Poi c’è Karin, una cinquantenne di Berlino, veterinaria, dal passato difficile, che ha dedicato ai cavalli, alla loro ricerca e al tentativo di farli riprodurre per salvarne la specie tutta la sua vita: anche lei parte per la Mongolia nel 1992, e insieme a suo figlio Mathias e a un collega mongolo, Juci, spera di far riprodurre e far crescere i cavalli che aveva salvato in una fattoria francese, anche se l’impresa non sarà affatto facile e le costerà la rottura dei rapporti con suo figlio e con l’uomo che la vorrebbe per sé.
Infine una terza storia, ambientata in una fattoria desolata in Norvegia: siamo ora a Heiane nel 2064. Il mondo occidentale è collassato; fame, siccità, mancanza di energia, abbandono della civiltà hanno ridotto gli umani a viandanti in cerca di sopravvivenza. Solo Eva, con la figlia quattordicenne Isa, tentano di resistere allevando animali, vacche, galline, vitelli, maiali: con questi tentano un’economia di sussistenza, in totale solitudine, finché bussa alla loro porta una giovane donna, Louise, dal passato drammatico, sola, fradicia e denutrita, che accetta di restare accogliendo la loro frugale ospitalità. Loro tre salveranno la coppia di cavalli selvatici che tenevano nel recinto, simbolo di speranza nella sopravvivenza delle specie.
Le tre storie, le tre epoche, le tre sensibilità si alternano, fornendoci una narrazione a tratti altamente drammatica, o piena di atti coraggiosi, o violenti, o disperati, o privi di speranza. Ma Michail, Wilhelm, Eva, Isa, Louise, Karin, Mathias, Juci sono tutti prototipi di umanità che ci restano nel cuore: al centro di tutto la metafora della nascita, degli umani e dei cavalli, dell’accudimento dei piccoli, del rapporto empatico o problematico tra figli e genitori, tra animali e cuccioli. E su tutto aleggia la consapevolezza che l’umanità sta preparando la propria inevitabile estinzione, a meno di non compiere subito gesti risolutivi. La mancanza dei confort a cui siamo abituati, la penuria di energia, cibo e di acqua sembrano essere dietro l’angolo, e la descrizione della vita dei personaggi che la scrittrice fa con rara efficacia ci mette in guardia. La letteratura è sempre profetica e in questo caso l’avviso è perentorio: salvare gli animali, salvare gli uomini, salvare la natura, salvare la sopravvivenza del pianeta è indispensabile.
Gli ultimi della steppa
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