Gruppi nel cinema e psicoanalisi di gruppo
- Autore: Michele Inguglia e Maurizio Guarneri
- Genere: Psicologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Sulla correlazione tra cinema e psicoanalisi, a differenza delle molte pubblicazioni sull’interpretazione, non vi era che riguardasse i gruppi. “Gruppi nel cinema e psicoanalisi di gruppo” di Michele Inguglia e Maurizio Guarnieri nasce come risultato di un progetto formativo-esperienziale su Cinema e Gruppi, durato cinque anni presso la sede di Palermo dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo; in tale esperienza i partecipanti hanno potuto verificare quanto forti ed intriganti siano le correlazioni tra cinema e gruppi.
Riguardo alla metodica attuativa, sono stati scelti film differenti, di gusto diverso e con situazioni variegate, e sono stati condivisi e analizzati in gruppo, gli elementi notevoli messi in luce dai singoli componenti. Il tutto è stato registrato e rielaborato, estrapolando le tematiche principali emerse nel gruppo e constatando una potenzialità creativa e riflessiva maggiore rispetto a quella del singolo individuo. Ciò in misura maggiore per quei film che, avvicinandosi a tendenze di natura psicotica o di natura surrealistica, come quelli di Luis Buñuel, sono più difficili da elaborare da parte di una singola mente.
Il comportamento psicotico viene meglio valutato se viene trattato da un equipe che perviene poi ad una sintesi. Alcuni autori, come Lars Von Trier, si sono espressi nei loro film spesso attraverso gruppi di personaggi, una dimensione che trova corrispondenza speculare nel gruppo degli spettatori; dinamiche gruppali interne alla filmografia ed esterne nel pubblico. Dopo aver visto il film gli interventi sono stati sempre liberi e/o associativi, espressione di quanto suscitato in ogni singolo componente, evitando manifestazioni di teorie, ed esternando soltanto sensazioni ed emozioni. Il materiale emerso è stato registrato e rielaborato ed è ora contenuto in “Gruppi nel cinema e psicoanalisi di gruppo”.
Il cinema è stato definito come la prima grande illusione che compare sulla scena del mondo mentre Roland Barthes parla di illusione perfetta che consente di accedere ad altri mondi e uscire dalla sala è come uscire da uno stato ipnotico. In comune tra cinema e psicoanalisi vi è il sonno. Perché si possa creare questa illusione occorre che sia attivata la cosiddetta area intermedia che si mette in moto ogni qualvolta ci si muove nell’ambito del gioco, dell’arte, della creatività. È necessario un distacco dalla realtà che consenta di accedere all’immaginazione.
Risulta singolare che il cinema nasca nel 1895 a Parigi con i Fratelli Lumière che proiettano il primo film sull’arrivo del treno in stazione (L’arrivée d’un train à La Ciotat). Contemporaneamente Sigmund Freud pubblica a Vienna la sua prima opera sulla psicoanalisi; così nascono coeve due discipline che si attraggono, anche se i rapporti non sono stati sempre idilliaci. Anzi in una prima fase la psicoanalisi ha provato un certo scetticismo nei confronti del cinema tanto che Freud si rifiutò di partecipare alla sceneggiatura di un film di George Pabst (I misteri dell’anima, 1926) e rifiutò di firmare il Manifesto dei Surrealisti. Si voleva usare forzosamente l’inconscio nella creazione dell’opera d’arte, aspetto contrario alla psicoanalisi per cui l’inconscio appare inaccessibile. Perdurò questa diffidenza fino anni Quaranta , momento in cui la psicoanalisi è stata impiegata per creare i thriller psicologici, gialli intriganti alla Hitchcock come Marnie, dove appare facile uscire dal trauma mentre, in realtà, è un processo lungo e faticoso. Una psicoanalisi banalizzata, semplicistica e riduttiva che racconta favole, drammi, mentre la realtà è ben diversa e molto più complessa. In seguito un gruppo di autori - Bergman in primis, Fritz Lang, David Linch, Fellini e Bertolucci - hanno realizzato film che sono stati letti in chiave psicoanalitica anche perché molti di loro hanno vissuto un’esperienza terapeutica psicoanalitica.
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