Guerra in Appennino. 1943-1945: lotta per la libertà
- Autore: Stefano Ardito
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Corbaccio
- Anno di pubblicazione: 2023
La catena appenninica si allunga al centro della penisola italiana come una vera spina dorsale, per più di mille chilometri, attraverso tredici regioni.
Quelle montagne sono da sempre parte dello scenario della storia del nostro Paese, sebbene la politica le abbia sostanzialmente trascurate, ma c’è stato un biennio, ottant’anni fa, che quanto accaduto in quelle valli, nei boschi e sulle cime ha contribuito a far nascere un’Italia diversa. La considerazione è di Stefano Ardito, grande nome della pubblicistica di montagna, autore dopo Alpi di guerra Alpi di pace (Corbaccio, 2014) di un altro libro che racconta vicende di anni importanti, di combattimenti e di resistenza in questo sistema montano.
Guerra in Appennino 1943-1945: lotta per la libertà (giugno 2023, 219 pagine) propone sedici capitoli monografici, dalle fortezze volanti americane sulla Maiella nell’agosto 1943 alla Liberazione di Genova nella primavera 1945, dopo un anno d’intensa attività partigiana sui monti liguri.
Nei venti mesi terribili tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, tante e tanto significative le storie che si sono verificate in gran parte dell’Appennino, dal Lazio, Molise e Abruzzo alla Liguria, Emilia e alle valli che scendono verso Pavia e Alessandria. Episodi sanguinosi anche più a sud, in Campania: la strage di Bellona nel Casertano, le Quattro giornate di Napoli. Lo stesso in Toscana, nelle Marche e in Umbria.
In qualche caso, come sul Colle San Marco nei pressi di Ascoli Piceno, alla Fonte dei Seppi sulle alture di Firenze o alla Benedicta nell’entroterra di Genova, caddero negli scontri con la Wehrmacht, le SS e i reparti della Repubblica di Salò i componenti di bande poco organizzate e male armate. In altri episodi, subirono sanguinose sconfitte anche formazioni ben guidate ed equipaggiate, come quelle al comando di Toni Giuriolo sul Monte Belvedere e del generale Mario Ricci, “Armando”, nell’Appennino modenese.
In quell’anno e mezzo di guerra senza pietà e senza regole, stragi ancora più dolorose hanno colpito civili innocenti. Il 7 aprile 1944, ai piedi del Monte Tancia, nella provincia di Rieti, dopo uno scontro con i partigiani all’Arcucciola, i nazisti sterminarono diciotto tra uomini, donne e bambini. Nelle stesse ore, altri massacri avvennero poco più a nord, a Leonessa e a Rieti.
Pur confermando che la gravità di una strage non dipende dal numero dei morti, Ardito sottolinea i numeri impressionanti dei massacri di Monte Sole e Marzabotto (1830 vittime), Sant’Anna di Stazzema (560), Civitella di Chiana (244), Vinca (171), San Terenzo Monti (159), Monchio (136) e Pietransieri (121).
La guerra partigiana che ha interessato le regioni appenniniche affiancò quella convenzionale degli eserciti che si scontrarono lungo le due linee fortificate costruite dai genieri tedeschi tra il Tirreno e l’Adriatico. Sulla Gustav, che tagliava i Monti Aurunci, le Mainarde e la Maiella, si combattè per quattro mesi sanguinosissimi a Cassino, tra l’autunno 1943 e la primavera 1944. Vanno ricordati anche gli scontri di San Pietro Infine, di Monte Marrone, del fiume Sangro e di Ortona. Più a settentrione e un anno dopo, sulla Gotica, vennero combattute battaglie meno celebri ma altrettanto sanguínose, come quella sul Monte Belvedere.
Sulla linea meridionale, la presenza delle formazioni partigiane si limitò all’Abruzzo, dove operava la Brigata Maiella. Sulla Gotic Line, in un’area che si allarga tra Liguria, Emilia, Romagna, Toscana e l’angolo più settentrionale delle Marche, agli scontri tra le divisioni alleate e la Wehrmacht parteciparono le Brigate Garibaldi e Matteotti, le Fiamme Verdi e altre formazioni della Resistenza.
Un anno e mezzo in cui si contarono centinaia di migliaia di vittime, ma che ha contribuito alla nascita dell’Italia libera e democratica di oggi.
Una curiosità del nuovo lavoro storico di Stefano Ardito è la proposta “escursionistica”, che invita a visitare i luoghi degli eventi bellici in Appennino.
Se da decenni, infatti, la memoria della Grande Guerra sulle Alpi dal Garda alle Giulie orientali è diventata un’attrattiva turistica, sull’Appennino si è fatto altrettanto solo in casi sporadici. alle Dolomiti alle Alpi Giulie, dall’Adamello allo Stelvio, arrivano ogni estate migliaia di escursionisti, da ogni parte del modo.
Ripercorrono i sentieri e i percorsi (ora accuratamente attrezzati) che collegavano forti, trincee, postazioni e tunnel, in gran parte ben restaurati e dotati di una segnaletica quasi sempre ottima. Perché non allargare su larga scala questa proposta alle tracce della guerra ancora esistenti nei siti appenninici?
Non sono meno spettacolari di quelle alpine le postazioni montane a Cassino, sulle Apuane in Garfagnana e sul Monte Belvedere tra i fiumi emiliani Reno e Panaro.
L’autore avanza una spiegazione, ritiene che le cause di questo “oblio volontario” siano profonde. Mentre gli italiani percepiscono la Prima guerra mondiale come un conflitto vittorioso nonostante le sue contraddizioni, la seconda è segnata da umiliazioni, sconfitte e non è assecondata da una memoria condivisa.
Spesso, alle tracce delle battaglie combattute dai militari si affiancano quelle delle stragi compiute contro i civili, come a Stazzema e a Monte Sole.
Le grandi e piccole opere fortificate rimaste sul terreno sono state quasi tutte realizzate dai tedeschi, che combattevano dalla parte sbagliata e dai loro alleati di Salò, ch’è:
sempre imbarazzante ricordare. Eppure non si può dimenticare.
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