Guerre ed eserciti nell’antichità
- Autore: Giovanni Brizzi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2019
“Les Italiens ne se battent pas”, gli italiani non combattono: un pregiudizio sprezzante, che ricorda l’offesa alla base della Disfida di Barletta, ma è contraddetto dalla realtà: per secoli gli italiani hanno fatto e subito innumerevoli guerre. È la prima delle considerazioni dello storico Nicola Labanca nella premessa al volume collettaneo a cura di Marco Bettalli e Giovanni Brizzi Guerre ed eserciti nell’antichità, una raccolta di saggi di diversi ricercatori e ricercatrici pubblicata da il Mulino nel 2019 (504 pagine).
Bettalli insegna Storia greca nell’Università di Siena, Brizzi ha insegnato Storia romana nell’Ateneo di Bologna e vanta una collaborazione ultra decennale con la casa editrice bolognese, a cominciare da Il guerriero, l’oplita, il legionario. L’esercito nel mondo antico, un testo riedito più volte da il Mulino, dopo la prima uscita nel 2008.
Tornando agli italiani in guerra, in tanti millenni gli abitanti della penisola e delle due grandi isole l’hanno portata all’esterno come l’hanno sopportata all’interno, condotta da loro o provocata da altri. L’attività bellica ha costituito la principale occupazione o una grave preoccupazione: sono stati guerrieri, uomini d’arme, militari di mestiere e d anche vittime, prede, oggetto di conquista e bottino per i vincitori. “La guerra ha toccato, trasformato, inciso e non di rado ucciso le loro vite”, osserva Labanca e lo stesso si può dire per tutte le popolazioni d’Europa e di gran parte del pianeta.
L’ordinario di storia contemporanea nell’Università di Siena ha voluto inserire quest’antologia nella collana Guerre ed eserciti nella storia, impegnata a studiare il rapporto millenario degli italiani con la guerra, sotto i più vari aspetti: militari, politici, economici, sociali, culturali e anche artistici (com’è stata percepita e rappresentata).
Nel volume, i contributi muovono dall’età greca, per passare all’Italia arcaica e a Roma, Repubblica e Impero, fino ad affrontare il tema dell’identità e integrazione nell’esercito romano, con un intervento di Giusto Traina, della Sorbona di Parigi.
Al proposito, va ricordato che l’espansione dei territori e quello delle legioni che dovevano controllarli e ampliarli, condusse nella prima età imperiale ad arruolare numerose truppe ausiliarie, spesso altamente specializzate, come gli arcieri siri, i cavalieri sarmati e le guardie del corpo batave dell’imperatore. Ma già nel periodo repubblicano militavano i frombolieri delle Baleari, gli arcieri cretesi e la cavalleria leggera numida. L’esercito costituì un importante strumento di romanizzazione. Provvedeva ad alfabetizzare gli arruolati di etnie periferiche, non cives ma milites peregrini, che a stretto contatto con graduati e ufficiali italici finivano per condividere l’etica civile e militare della cittadinanza romana. A fine leva, una volta rientrati nei territori d’origine, molti ausiliari contribuivano al processo di acculturazione locale, introducendo anche nuovi elementi religiosi.
Tutto sulla guerra nell’antichità, quindi, in ogni contesto della società greca e romana, dagli opliti alla falange macedone, dagli eserciti sul campo alla guerra navale. E poi i combattenti e i combattimenti della grande Roma, le trasformazioni del suo esercito, le connessioni tra la ferma militare, la cittadinanza e la carriera politica. Tutta l’antichità militare, analizzata e commentata da prestigiosi saggisti.
Dagli scontri primordiali con bastoni e pietre, le civiltà antiche passarono alle armate più o meno numerose, composte da specialisti, soprattutto in Oriente: fanti, cavalieri e lanciatori, in primo luogo arcieri, col supporto o meno di piccoli carri veloci. Un’evoluzione venne impressa da Greci e Romani, che puntarono sulla forza della fanteria pesante e sull’organizzazione, allestendo e facendo agire formazioni coese, in cui la forza del singolo veniva moltiplicata dalla compattezza dei reparti, formati da uomini addestrati a combattere insieme.
Si cominciò in Grecia, dove la scelta della fanteria pesante è stata obbligata, dal momento che la mancanza di pianure adatte ad allevare cavalli e i costi economici enormi limitavano a poche zone la diffusione della cavalleria. Per quanto riguarda gli arcieri, nel mondo greco non mancarono popoli specializzati nella tecnica, certamente complessa e da assimilare con un lungo allenamento, inadatta perciò ai cittadini delle poleis, soldati avventizi, soggetti a richiamo.
I primi fanti equipaggiati e coperti di protezioni appaiono nell’età micenea. La foggia di scudi, elmi, corazze e gambali era dettata da tradizioni, scambi culturali e mode. Solo combattenti di terra, perché almeno fino a cinque secoli prima di Cristo restava troppo complesso armare vere e proprie flotte da guerra.
A partire dalla fine dell’VIII secolo e per tutto il VII, lo sviluppo della società della polis accompagna la creazione di reparti di uomini provvisti di armature difensive complete (elmo, corazza, scudo, accessori) e dotati di una lancia e di una spada corta, come armi offensive. Erano nati gli opliti.
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