Composto da Dante Alighieri negli anni giovanili e inserito nelle Rime, Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io è il sonetto più spensierato dell’autore della Divina Commedia che in queste righe celebra il valore dell’amicizia.
Tenero e delicato, questo componimento ci trasporta nell’atmosfera soffusa del sogno in cui si riverbera tutta la serenità della prima giovinezza.
L’incantamento descritto da Dante è un viaggio immaginario compiuto in letizia insieme agli amici più cari. Il metaforico “vascello” evocato dal poeta si fa emblema del desiderio che viene ripreso, come una costante, attraverso diversi richiami semantici.
Secondo il critico Gianfranco Contini il misterioso “vasel” descritto da Dante sarebbe la leggendaria imbarcazione del Mago Merlino menzionata nel ciclo arturiano.
Il sonetto fu scritto dal poeta seguendo lo schema del plazer provenzale - che si costituiva di un elenco di cose piacevoli e desiderate - e dedicato a un altro grande poeta del Dolce Stilnovo: Guido Cavalcanti, con cui Dante era solito disquisire e ragionar d’amore.
Alcuni vedono proprio in questo sonetto l’atto di nascita dello Stilnovo in quanto per la prima volta il Sommo Poeta si distacca dallo schema classico delle Rime oscure di Guittone d’Arezzo e introduce nella poesia il tema centrale del desiderio amoroso.
I versi hanno un ritmo trasognato e l’intero sonetto è pervaso da una sorta di realismo magico; devono essere queste caratteristiche che ce lo consegnano intatto, inalterato, assolutamente perfetto nella sua malia, capace di travolgerci ancora e ancora, anima e corpo, nel suo sortilegio. Fu scritto nel 1200, eppure riesce tuttora ad avvilupparci nell’eterna meraviglia di una giovinezza senza fine.
Ogni volta leggere Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io equivale a ricreare nella mente quel paradiso in terra, rievocare una spensieratezza leggera che si posa sulle cose come polvere dorata; una sensazione di lieto abbandono che tutti nella vita, almeno una volta, abbiamo provato.
Vediamone testo, analisi, parafrasi e commento.
“Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io”: testo
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.
“Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io”: parafrasi
Guido, io vorrei che tu, Lapo e io, fossimo presi da un incantesimo e condotti su una barca che a ogni soffio di vento andasse attraverso il mare seguendo il mio e il vostro desiderio.
Viaggeremo in modo tale che nessuna tempesta o tempo avverso ci possa essere d’ostacolo, anzi vivendo sempre insieme di comune volontà crescesse ancora di più il desiderio di condividere.
E vorrei che il buon mago ponesse in viaggio con noi Monna Vanna, Monna Lagia e colei che è in cima al numero delle Trenta (tra le donne più belle della città).
E vorrei parlare sempre d’amore, e che ciascuna di loro fosse felice
così come io credo lo saremmo noi.
“Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io”: analisi e commento
Il verbo di apertura “vorrei” regge l’intero sonetto, che è declinato seguendo l’area semantica propria del desiderio. Dante trascina con sé nel sogno i suoi amici più cari: Guido Cavalcanti, poeta Stilnovista, e Lapo Gianni de’ Ricevuti che era notaio o meglio “iudex ordinarius et notarius publicus”, ma che alcuni studiosi identificano con il poeta Lippo Pasci de’ Bardi. L’amicizia tra i tre è esclusiva, elettiva; comprendiamo che per Dante il legame assume un significato peculiare, è unito a Guido e Lapo dalle regole di una triade inscindibile come spesso accade nelle amicizie di gioventù. Questo legame è reso manifesto anche dal linguaggio cifrato che il poeta usa all’interno del sonetto: quando si riferisce a “quella ch’è sul numer de le trenta” sta parlando in modo che solo i suoi interlocutori più stretti possano capirlo. I critici hanno dedotto che Dante e gli amici avessero stillato una lista delle donne più belle di Firenze e che l’autore si riferisse a colei che vi era posta in cima che - attenzione - non era Beatrice che invece occupava il nono posto. La donna misteriosa è l’unica a non essere nominata, mentre appaiono i nomi di Vanna e Lagia, le donne amate da Guido e Lapo.
Sono assenti le coordinate di genere spazio-temporale, tutto il sonetto è sospeso nell’indeterminatezza per ribadire l’effetto dell’incantamento.
Suggestionato probabilmente dalla lettura del ciclo arturiano, Dante immagina di navigare in una sorta di mare calmo in compagnia degli amici evocando un tempo gioioso, senza problemi e ostacoli, dove ai tre non rimane altro da fare che essere felici e “ragionar d’amore”. Il sogno individuale di Dante si trasforma in un desiderio collettivo, come dimostra il verso “voler vostro e mio”, in cui il poeta dà valore pregnante all’amicizia riconoscendola come un sentimento cui affidarsi ciecamente.
Oltre ai termini legati al campo semantico del desiderio, quali “vorrei”, “talento”, “desio”, troviamo l’anafora più volte ripetuta dell’avverbio “sempre” un chiaro rimando a una dimensione atemporale ed eterna.
“Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io”: il simbolismo
Merita un’analisi a sé stante il simbolismo del sonetto. Ha un andamento lento e trasognato, ma ogni verso è studiato nel dettaglio dal suo autore. Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io ha una struttura ciclica, narrata in prima persona, che si apre con il verbo “vorrei” e conclude in modo più determinato con “credo”.
Inoltre c’è un numero che fa capolino e ritorna come una costante in tutti i versi: il tre. Tre sono gli amici e tre sono le donne amate; persino la misteriosa musa di Dante viene nominata utilizzando un decimale del numero tre “quella che sul numer de le trenta”, è significativo che l’autore non si riferisca “alla prima”, perché riconosceva nel numero tre e nei suoi derivati un ideale di perfezione.
Tutti questi richiami conferiscono al sonetto un peculiare ritmo circolare e ondivago che ne enfatizza il messaggio e sembra trasportare il lettore stesso a bordo del vascello incantato.
A scriverlo era un Dante giovane, ancora lontano dal “mezzo del cammin” della sua vita e dallo smarrirsi nei meandri di una selva oscura; ma in questo componimento leggero, spensierato e tuttavia senza tempo possiamo cogliere l’origine del genio che, un giorno non poi molto lontano, avrebbe dato vita a un capolavoro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io”: analisi e parafrasi del sonetto di Dante Alighieri
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