Nel 1913 un viaggiatore diverso dagli altri varca il confine italiano. Ha 36 anni e approfitta dell’anonimato che la storia ancora gli concede. Hermann Hesse è un nome che non dice molto a chi lo incontra. Non sanno che diventerà uno degli scrittori in lingua tedesca più letti al mondo, tradotto in oltre sessanta lingue.
Per la fama c’è ancora tempo. Il premio Nobel per la Letteratura arriverà tra trentatré anni esatti, nel 1946. Siddharta, Il lupo della steppa, Narciso e Boccadoro, i suoi libri più famosi sono solo un’idea.
Probabilmente indossa già il cappello a tesa larga e gli occhiali a montatura rotonda cui ci hanno abituati le frequenti fotografie d’epoca.
È un uomo curioso, che predilige le mete lontane dai percorsi turistici tradizionali. In Italia è già stato molte volte: nel 1901 la prima visita, seguita da numerosi altri viaggi.
Hermann Hesse e la scoperta di Bergamo
La meta questa volta è il nord Italia: Como, Cremona, Mantova, Padova, Verona, Vicenza e Bergamo, la sua preferita, tanto che scrive:
Come sia facile raggiungere Bergamo lo sapevo da tempo e così, ancora una volta, avevo percorso quel bel tratto di strada tra il Gottardo e l’Italia. Ma quanto possa essere difficile separarsi da Bergamo l’ho appreso solo questa volta.
Hesse arriva a Bergamo in treno, prosegue in tram e funicolare. Fino alla città alta.
È solo, complice l’ora tarda, nel vagone. Un viaggiatore qualunque che osserva e annota tutto nei suoi diari di viaggio. Lo testimonia il volumetto di racconti Dall’Italia (a cura di V. Michels, Mondadori 1990), ripreso da I luoghi dell’anima. In viaggio con i grandi scrittori a cura di Fulvio Panzeri per Interlinea nel 2000.
Respirai profondamente: da molto tempo non ero più arrivato così, di notte, in una remota cittadina italiana, sedotto da presaghe oscurità, sorpreso dalla repentina apparizione di nobili architetture e salutato dagli umidi vapori di angusti vicoli petrosi.
C’è una vena divertita nel racconto. A parlare è un turista che vaga solo in una città che non conosce e dove, pure, si sente a suo agio. L’atmosfera, la gente gli piace. E così ricorda:
Nella locanda mi fu assegnata una camera dal pavimento in cotto rosso, grande come quella di un palazzo, e mi fu servito un tenero arrosto di montone. Il vino era buono e l’oste aveva una bella cognata.
La piazza gli offre la possibilità di un esperimento sociale, grazie alla statua di Garibaldi, poi spostata dalla municipalità cittadina, custodito da quattro leoni dall’aria assai truce.
A tre di loro infilai nelle fauci spalancate al ruggito una monetina da due soldi, che ritrovai il mattino seguente al medesimo posto.
L’Italia nelle parole di Hermann Hesse
Hermann Hesse è anche pittore e dell’artista talentuoso possiede lo sguardo. Così alla luce del giorno torna sulla piazza Vecchia e descrive architetture e monumenti.
Bellezze attese e inattese: il Duomo, Santa Maria Maggiore, la biblioteca civica spostata dopo il 1927, piazza Terzi e l’omonimo palazzo dove aveva soggiornato Stendhal, l’Accademia Carrara, fino al colle di San Vigilio e al panorama che offre dall’alto sulla città.
E poi la cappella Colleoni dedicata al generale veneziano.
La facciata però non lo convince: qualcosa interrompe l’armonia.
È tutto un brulicare di colonne e colonnine, di bassorilievi di ogni possibile materiale, di ritratti e angioletti, e il marmo bicolore dello sfondo simula, non diversamente da alcune sciagurate pavimentazioni moderne, un disegno a scacchi che produce un effetto stridente e innaturale sull’osservatore.
E lo fa esclamare:
Ah, talvolta mi fa quasi piacere sorprendere anche gli italiani in una flagrante mancanza di gusto, in un solenne passo falso …
L’interno è però altra cosa. A colpirlo non è tanto la statua del condottiero, ma la tomba della figlia:
Sulla parete accanto riposa adagiata su un guanciale di pietra la giovane figlia, tenera e piccina nella sua grazia emaciata; la commovente bellezza della fanciulla, resa immortale dall’artista sconosciuto, si offre ignara, nel sonno, alla stessa eternità, alla stessa fama del suo grande padre.
Nella grande chiesa di Santa Maria Maggiore gli stalli del coro non si dimenticano:
Gli schienali – e sono parecchie decine, tutti di legno intarsiato – sono stati realizzati, quadro dopo quadro, su disegno di Lorenzo Lotto, da artisti bergamaschi che ne hanno intagliato e poi composto i singoli pezzi; per più di centocinquant’anni nonni, figli e nipoti hanno lavorato a queste formelle.
Solo nelle miniature monastiche ho avvertito una così sublime semplicità e mi sono compiaciuto a figurarmi quegli uomini silenziosi, sensibili, pazienti che, dimentichi del passare dei giorni nella dedizione a un’arte instancabile, si beavano delle loro stesse creazioni rallegrandosi della propria perizia. È un’impressione analoga a quella che si prova davanti ai prodotti dell’arte lignea giapponese e ai ricami cinesi.
Ed eccolo l’Oriente e la sua fascinazione che fa capolino e spinge per altre mete e altri scritti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il viaggio di Hermann Hesse in Italia: un premio Nobel per la Letteratura alla scoperta di Bergamo
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