I beati anni del castigo
- Autore: Fleur Jaeggy
- Casa editrice: Adelphi
Certi libri sono ammantati di silenzio, anche se rievocano, come questo, collegi femminili svizzeri, dove il cicaleggio delle ore libere si alterna alle interrogazioni e alle parlate delle insegnanti, l’atmosfera è impregnata di silenzio. Ma è solo assenza di rumori.
Se le parole della protagonista de «I beati anni del castigo» di Fleur Jaeggy, che rievoca dentro di sé l’amore pudico per la compagna Frédérique, non escono dalla sua bocca, non per questo sono prive di forza. E non sono forti per via della trama, che è esilissima, ma in quanto espressione di un passato che, nei loculi della memoria, è ancora ben presente; non è un caso se i tempi verbali viaggiano da qui a là senza decidersi:
La nostra mente è una serie di loculi. I nostri nessuno sono presenti all’appello, creature ingorde, talvolta si ergono come avvoltoi sulle fisionomie di chi abbiamo amato. Una moltitudine di visi abita nei loculi, ricca pastura. Una ragazza tedesca, mentre scrivo, sta disegnando, come in un commissariato di polizia, i suoi connotati. Qual è il suo nome? Il suo nome è scomparso. Ma non basta dimenticare un nome per dimenticare l’essere. Tutto è lì, nel loculo.
Gli anni del castigo, dell’internato, erano beati perché i loculi erano ancora vuoti, perché la memoria non era ancora infettata di morte, né di pazzia. Ma erano beati anche perché la protagonista ha lasciato qualcosa di sé sulle mura dei collegi in cui è stata: la sua vena di anticonformismo, di libertà.
Se Frédérique, che era la più ordinata, la più brava, la migliore, finisce in un manicomio, il suo è un destino solo un poco più estremo di quello che la protagonista sente incombere su di sé: alla fine, la fratellanza con la compagna, per quanto messa alla prova dal tempo e dallo spazio, è più pulsante che mai.
I beati anni del castigo
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libro bello che va degustato lentamente.