I fasti dell’ortica
- Autore: Maria Luisa Spaziani
- Categoria: Poesia
L’ortica che campeggia nei versi di Spaziani è l’emblema vegetale di un sentimento agonistico e positivo della vita umana: una tensione incessante alla Bellezza e alla Speranza oltre la bruttezza, il cinismo, il minimalismo imperante tra le macerie del mondo attuale.
Sono trascorsi cinque anni dalla scomparsa di Maria Luisa Spaziani, scrittrice, traduttrice, tra le voci più alte e raffinate della poesia italiana contemporanea. E noi vogliamo ricordarla rileggendo uno dei suoi libri poetici più felici: “I fasti dell’ortica” (Mondadori, 1996). Un libro della mente, che attingendo ai moti del cuore e all’autobiografia dell’io lirico, si dispone pagina dopo pagina in un’architettura unitaria, in cui la categoria della “Bellezza” si fa sostegno di una morale, di una pretesa di consistere agonisticamente nella “prosa” della vita raccogliendone le sfide, modulandone il dolore di esistere in amore.
Ne “I fasti dell’ortica”, quanto più complessa appare la materia del poetare, tanto più la struttura rigorosa del libro, la sua proustiana memoria involontaria assistita da un dio “chiamato leggerezza”, si offre, secondo l’acuta definizione di Silvio Ramat, “come via di scampo alle opprimenti retoriche della gravità” e li stratifica nell’evidenza emblematica dell’ortica, densa di evocazioni, addirittura eponima, secondo l’autrice, di “un’altra convenzione/altra mitologia” quasi un corrispettivo vegetale dell’anguilla montaliana.
Del resto la presenza irriducibile dell’ortica nell’orto concluso della tradizione poetica italiana è riscontrabile nella Commedia dantesca, seminascosta tra la flora lussureggiante del Paradiso terrestre, infliggendo al poeta viator la puntura del pentimento. E nella lirica preromantica, in particolare, fa capolino in paesaggi ispidi, accompagnandosi ad erbe inique, testimonianza spesso di abbandono e decadenza. Nel Pascoli la pura immagine materna dei gigli si staglia con maggior rilievo uscendo “ancora a biancheggiar tra folti cesti d’ortica” ( Myricae, I gigli, v.11).
Anche una rassegna così rapida può dare la misura di un’accezione stereotipata dell’ortica, contrapposta ai fiori aulenti del Parnaso poetico, per illuminare suo malgrado la grazia della flora prediletta da madre natura e dai suoi cantori. Per trovare invece un significato diverso che la faccia emergere tra gli oggetti poetici eterni e un po’ consunti della tradizione, bisogna varcare la soglia del ’900 e volgersi alla malinconia crepuscolare di Gozzano, che nella “Via del rifugio” scrive:
Fissa il dolore e armati di lungi/ chè la malinconia , la gran nemica/ si piega inerme , come fa l’ortica/ che più forte l’acciuffi e men ti punge.
Versi la cui eco ci sorprende leggendo i versi di Spaziani :
L’onda tua alta annienta ogni nemica/ Se l’afferri con forza non ti punge/ né il mondo intorno né malvagia ortica.
L’”iniquo arbusto” calunniato dai poeti, vivendo di un’energia propria, capace in quanto organismo vivente di far sentire il suo respiro, diviene l’emblema vivente, e carnale, di un sentimento agonistico, di positiva apertura morale alla speranza, con cui l’io lirico, ricerca,in questo mondo, una dimensione sfuggente ma raggiungibile di autentica libertà.
L’intera sezione iniziale de “I fasti dell’ortica” recinge dunque l’area sacra di uno spazio morale e mentale su cui impiantare le riflessioni, i ricordi, le testimonianze contenute nei testi delle sezioni successive. Quante suggestioni e ispirazioni emergono e si sprigionano da questo, in apparenza, umile emblema vegetale. In primo luogo l’ortica richiama un “sublime basso” contrapposto al “sublime alto” vagheggiato dai “soliti cantori della rosa”.
La scelta di una poesia ricercata, che rifugge dal rischio del comune, pur rimanendo legata al quotidiano, denota l’originalità di una autrice che, pur fedele alla tradizione, non lesina di scoprire al suo interno crepe ed interstizi in cui far attecchire intelligenti trasgressioni alla norma, “scintille di verde” che rompono la cornice. L’ortica è inoltre per l’appassionata studiosa di Proust la madeleine amara che restituisce alla memoria ricordi che la potenza dell’evocazione poetica trasfigura e ricrea. È, inoltre, l’ortica, una frontiera tra due regni: quello della storia e della quotidianità, e quello di un altrove di cui si percepiscono appena i confini:
E in mezzo ai sampietrini sono nate/ pungentissime ortiche giganti/ Poco tempo ci vuole perché altri/regni ci sostituiscano (Ferragosto).
I versi riportati concludono la sezione intitolata “Ore del Babuino” ed evidenziano un legame tra l’universo domestico (la famosa via romana in cui l’autrice risiedeva) e la visionarietà dell’io poetico che si rappresenta in stato di veglia, come una sentinella. E ancora, in “Scintilla di verde” l’attacco perentorio (“Punta le lance ai punti cardinali”) vi è, nel gesto umano della pianta che punta le lance quasi aprendo le braccia in un amplesso cosmico, l’indizio di un desiderio e di uno sforzo di impossessamento del mondo tutto.
C’è poi un altro testo, intitolato “Splendori di scena”, che chiudendo la sezione eponima del libro, è la poesia che a nostro avviso suggella più di tutte il significato morale dell’ortica e dell’intero libro. Un testo in cui l’emblema si toglie la maschera svelando a figura intera il profilo dell’autrice:
Essere belli in sé/ dove nessuno passa/Inutile energia/ I fasti dell’ortica?/ Alta regina verde/ terribile peluria/ aculei puntati/verso/quattro orizzonti/Sarah Bernard in Fedra/La vergine Camilla/Le macerie di un muro/La tomba abbandonata/ Polvere nubi in corsa/Stupenda camomilla/Un topo una lucertola/non occhio umano, mai/Superfluo per un santo/ O un sommo attore il pubblico.
Il ritmo incessante e al contempo sincopato della metrica; la sequenza di accumulazioni di epiteti e nomi; il timbro perentorio e solenne richiamano alla mente ascendenze leopardiane e montaliane. La Ginestra, l’Anguilla: manifesti immortali di resistenza e agonismo umano. Il testo di Spaziani inoltre è contrassegnato da una struttura bipolare, incorniciato da due distici dal tono aforistico, mentre le strofe centrali sembrano piuttosto delle stenografie, dei lampi.
Tutta l’energia espressa nei versi centrali è condensata nella forma gnomica dei distici, che ne costituiscono una sorta di cornice. Nella struttura bipolare del testo si intersecano due diversi registri: l’uno argomentativo, l’altro lirico e musicale (una sorta di recitativo). Se la memoria non ci inganna, è in un celebre libro di Baudelaire, refrattario ad ogni comoda classificazione di genere (“Il mio cuore messo a nudo”) , che possiamo ritrovare certi scarti stilistici e sussulti di un simile tenore. È in queste pagine baudelairiane che possiamo leggere una sentenza folgorante contro le norme del senso comune: "Essere un grand’uomo e un santo per se stessi, ecco la sola cosa che conta”, in evidente consonanza con l’incipit della poesia di Spaziani: “ Essere belli in sé/ Dove nessuno passa”.
A noi sembra che sia questo il fulcro dell’atteggiamento mentale di Spaziani, della sua morale agonistica. Un modo di essere estroso e spregiudicato, immune dai conformismi e dallo sguardo comune governato dai paraocchi di chi canta solo la rosa, ignorando quei tesori invisibili che restano celati tra le crepe, dove il minimalismo imperante (anche in poesia) non sa spingersi, La sacralità di questo patrimonio nascosto, di sapienza e bellezza, il misticismo che esso custodisce, tingono di un’aura religiosa l’estro dell’autrice, attribuendole inoltre l’acume singolare di uno sguardo ironico e aggiungeremmo “umile”, perché attecchendo nella terra, come l’umile ortica, da questo contatto vitale può umanamente tendere a quello scopo perseguito con tenacia dalla Spaziani: bussare alla porta della Speranza.
Maria Luisa Spaziani - I FASTI DELL'ORTICA - 1 ° ED. 1996
Amazon.it: 65,00 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I fasti dell’ortica
Lascia il tuo commento