I garibaldini nelle Argonne. Tramonto politico di un mito
- Autore: Stefano Orazi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2019
Vestivano la divisa da trincea della fanteria francese, ma sotto il panno bleu horizon indossavano la camicia rossa dei Mille. Erano I garibaldini nelle Argonne dei quali Stefano Orazi riprende l’avventura volontaria sul fronte franco-tedesco, in un volume delle Edizioni il Mulino, apparso nel 2019 (272 pagine, 22 euro).
Il ricercatore urbinate si allontana però dall’agiografia del volontariato entusiasta e dedito alla causa senza retro pensieri, che ha sempre gratificato l’impresa dei nipoti di Garibaldi. Intendiamoci, non “nipotini” come espressione affettuosa, ma autentici discendenti anagrafici del condottiero risorgimentale, in quanto figli numerosi di Ricciotti, secondo maschio del generale e di Anita.
Tramonto politico di un mito: il sottotitolo chiarisce il contenuto del saggio di Orazi. Lo storico di Cagli (laurea in lettere a Urbino, dottorato in storia dell’Europa alla Sapienza), studia la storia pre e post unitaria e presiede il comitato di Pesaro dell’Istituto per il Risorgimento. In questo saggio distingue nettamente l’aspetto politico diplomatico della vicenda dal militare, relativamente poco significativo, considerati i numeri esigui di combattenti e combattimenti, nell’arco di appena 15 giorni. Esaurito rapidamente il tema dell’apporto bellico della spedizione garibaldina, si sofferma sui contrasti derivanti dal Risorgimento coi repubblicani mazziniani, per addentrarsi poi nella sfida sotterranea tra Roma, allora neutrale, e Parigi in guerra dai primi di agosto del 1914 contro la Germania e l’Austria-Ungheria.
Gli eredi delle camicie rosse andarono a costituire un reparto della Legione Straniera: 2500 uomini, arruolati dalla famiglia Garibaldi e inquadrati nel IV Reggimento di Marcia del Primo Straniero. Gli eredi di Garibaldi erano il generale Ricciotti senior, quartogenito dell’eroe dei due mondi, e Giuseppe junior, primo di sette maschi. La loro Legione garibaldina era il contingente straniero più numeroso nelle armate francesi e tuttavia ben poca cosa, se rapportato alle grandi cifre del primo conflitto mondiale: 65 milioni di mobilitati, 9 milioni di caduti, 5 milioni di dispersi, 7 milioni di mutilati, 15 milioni di feriti.
Il neo garibaldinismo incontrò simpatia nella stampa e nell’opinione pubblica francese e italiana, tanto per il significato storico del movimento che per le ricadute potenziali sullo scenario delle alleanze. Si ricordi che la pur neutrale Italia era ancora legata, dalla Triplice Alleanza, ai nemici in campo contro la Francia. Si trattava, si è detto, di 2500 volontari, sotto il comando di ufficiali italiani ma anche francesi, come di regola nella Legione. Vennero impegnati in tre combattimenti, dal Natale 1914 all’8 gennaio 1915, nel territorio delle Argonne, regione boschiva del Nord-Est attraversata dalla Mosa, tra la Lorena e la Champagne.
La prova del fuoco avvenne a Bolante, il 26 dicembre. I combattimenti si riaccesero il 5 gennaio a Courtes Chausses e Tour de Paris. Ultima fase l’8 gennaio, a Ravin Fille Morte e Le Bas Jardinet. Scontri sanguinosi, che costarono ai garibaldini oltre 200 morti, compresi due fratelli di Peppino junior: Bruno e Costante, 25 e 22 anni. Un bilancio pesantissimo, rapportato al numero dei volontari e alla durata dell’impegno armato. In due settimane 93 caduti, 136 dispersi, 337 feriti e ben 500 malati, per le pessime condizioni igienico ambientali della zona, investita da neve e gelo.
Anche più della metà dei 2.566 uomini arruolati (i Garibaldi ipotizzavano un contingente di 7.500, ma non gli accordarono nemmeno il trasferimento di tutti gli italiani reclutati nella Légion Etrangère) proveniva dalle aree di insediamento dell’immigrazione italiana in Francia, il resto in gran parte dall’Italia di tradizione garibaldina (Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna). Non era stato facile coniugare la passione delle camicie rosse, il volontariato e lo spontaneismo con la disciplina militare regolamentare vigente nell’esercito transalpino, che aveva imposto di vestire l’uniforme della Legione Straniera, la stessa in uso ai fanti francesi. Questo anche per sottrarre gli italiani al pericolo di non essere riconosciuti come combattenti convenzionali e andare incontro all’esecuzione sommaria, in caso di cattura da parte del nemico.
I tre battaglioni o, meglio, i superstiti dei tre reparti in cui erano articolati gli uomini della Legione garibaldina vennero ritirati dal fronte l’11 gennaio e inviati a riposo non lontano da Clermont. Non si realizzò il progetto di Ricciotti senior di arruolare una legione di 30mila italiani da impegnare nei Balcani.
Il 5 marzo 1915 il reggimento garibaldino venne sciolto ufficialmente. Molti degli uomini si trasferirono in Italia, dove andarono a ingrossare la folla degli interventisti nelle manifestazioni di piazza contro l’Austria.
A questo punto del saggio, comincia a svilupparsi la parte più ampia del lavoro di Orazi, che ha scelto di osservare l’avvenimento da dietro le quinte, con l’intento di scoprire il detto e il non detto, lo scritto e il non scritto, negli atti dell’epoca, nei documenti e nei carteggi diplomatici. Non ci si dimentichi che per i governanti francesi i garibaldini rappresentavano una proiezione eroico familistica e patriottica del nostro Risorgimento, molto utile per attrarre l’Italia dalla parte delle potenze dell’Intesa contro gli ex alleati austro-tedeschi.
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