I libri di Jakub o il grande viaggio
- Autore: Olga Tokarczuk
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2023
I libri di Jakub o il grande viaggio del premio Nobel 2018 Olga Tokarczuk (trad. it. di L. Ryba e B. Delfino, Bompiani, 2023) è un romanzo-mondo, un fiume che sommerge il lettore che, naufrago su un atollo, scopre d’essere approdato in un non-luogo, non segnato sulle carte nautiche, e, soprattutto, fuori dalla continuità del tempo.
Eppure il racconto si snoda ai confini dell’Occidente – il concetto di limite, di bordo è centrale in tutto il libro – tra Polonia e Turchia e nell’antica Podolia, oggi parte dell’Ucraina e della Moldavia. Anche il tempo è univocamente determinato: siamo nella seconda metà del XVIII secolo, quando il vento dell’Illuminismo gonfia le vele delle nuove idee che non lasciano indenne neppure la religione: nascono molti movimenti interni all’ebraismo, ma di protesta nei suoi confronti. In questo habitat di splendente instabilità, un ebreo di nome Jakub Frank, realmente esistito, si presenta come il nuovo, improbabile, Messia: molti gli crederanno, al solito, diventando suoi discepoli.
È un grande enigma e un mistero straordinario che a diventare redentore sia colui che è il più oppresso, chi ha toccato il fondo dell’abisso delle peggiori tenebre. Ora attendiamo il suo ritorno; tornerà sotto diverse sembianze, finché il mistero si compirà. Dio s’incarnerà nell’uomo, quando ci sarà il Devekut e regnerà la trinità.
In questo immenso romanzo picaresco, risaltano dal magma degli eventi alcuni punti focali: il terremoto di Lisbona, che indusse Voltaire a “scagliare frecce contro Dio”, la peste - combattuta dal dott. Asher, compagno di Gitle, il grande amore di Jakub che da lei ha avuto un figlio - il battesimo del “nuovo” Messia, la sua conversione al cattolicesimo, la costruzione di una “corte reale” - una simbiosi giudaico-cristiana - in una terra di mezzo tra la Polonia e l’Ucraina, il tramonto del mito del Messia, dissolto dal disincanto della rivoluzione francese, infine la morte di Jakub.
Quindi, si direbbe un romanzo storico: invece no, proprio no! Del resto l’autrice stessa ha recentemente dichiarato, durante il Festival della Letteratura di Mantova, che il “romanzo storico” non esiste in quanto si ragiona sempre solo di ciò che crediamo di vedere nel passato attraverso le prospettive della contemporaneità.
Noi spieghiamo il passato alla luce del presente, non sono i fatti, i ricordi, la materia prima della costruzione del passato ma la parola; come ebbe a significare plasticamente Lacan, il presente determina il passato: Non è il prima che determina il dopo ma viceversa…
L’opera è piuttosto la narrazione dello straniamento che colpisce chi corra sul bordo tra pensiero magico, metafisica, modernità; l’uscita dalla visione religiosa del mondo ha implicato la secolarizzazione del potere dello Stato e è la causa, come ci rammenta Habermas, di una crisi che, privando la modernità di un versante spirituale, ha condotto a un pensiero antilluminista vagheggiando la salvezza tramite un’idea ultramondana, si badi, non importa se vera o falsa; come direbbe Heidegger: Ora solo un Dio ci può salvare.
Questo punto di discontinuità è segnato dall’apparire degli uomini nuovi, il Messia è l’archetipo di essi, che recano la fine della Legge - come osa dire lo “scandaloso” Paolo nella Lettera ai Romani che influenzò grandemente Lutero - la rimozione della Norma del Talmud, dei precetti fissate dai Padri: è all’assalto al cielo, la guerra santa dei pezzenti, di chi voglia compiere il parricidio sull’altare della modernità.
Del resto, le pratiche sessuali di Jakub e dei suoi seguaci, che farebbero invidia ai movimenti hippie degli anni Settanta del Novecento, la diatriba sulla traduzione dei testi sacri, il tentativo di conciliare ebraismo e cristianesimo, sono tutte manifestazione della rivoluzione in atto.
Si tratta di Atti Estranei, quindi ciò da cui bisogna cominciare. “Atti Estranei”: azioni strane, incomprensibili in un primo momento, bizzarre per i non iniziati, ma gli iniziati più vicini a Jakub devono sapere. Bisogna fare tutte quelle cose che finora erano proibite.
Questa interpretazione così ampia della “religione”, che assomiglia più a La Repubblica di Platone che non al Paradiso descritto nella Genesi, non è una novità: basti pensare a Il Cantico dei Cantici, dove la fede è ogni cosa, compreso il talamo e l’accoppiamento, inoltre secondo i principi agostiniani non è il sesso la trasgressione maggiore ma la blasfemia. Il Dio e il suo Messia, descritti nel libro, sono, per dirla parafrasando Nietzsche, “umani, troppo umani…”
Talvolta Dio è stanco della sua luminosità e del suo silenzio, e gli dà la nausea l’infinito. Allora come un enorme, onnisensibile ostrica il cui corpo nudo e delicato percepisce il minimo tremore delle particelle di luce, Dio si contrae in sé, lasciando quindi un po’ di spazio dove subito, dal nulla completo, compare il mondo.
Se si accetta l’idea, comune ad alcune interpretazioni, che il Messia sia Tutto, si dovrà convenire che contiene anche il suo opposto, il male è vicino al suo cuore più di lui stesso; solo accettando questa visione il Tempo potrà essere sospeso, la Legge cancellata; Jakub impone - non concede, si badi, impone – pratiche sessuali del tutto eterodosse.
Alla luce di appena una candela, ecco che vede degli uomini seduti in cerchio, e al centro una donna nuda fino alla cintola. I suoi seni grandi e sodi sembrano luccicare nella penombra. Quel Frank gira attorno a lei, borbottando qualcosa fra sé. Sullo sfondo della rozza mobilia della casa di Leibko, il corpo di Chayna è perfetto e meraviglioso, come venuto da un altro mondo. La donna ha gli occhi socchiusi, e la bocca leggermente aperta lascia intravedere le punte dei denti.
Sulle spalle e sulla scollatura brillano gocce di sudore, i seni sono così pesanti che si vorrebbe sorreggerli. Chayna sta in piedi su uno sgabello, l’unica donna tra molti uomini. Il primo ad avvicinarsi è Jakub: deve alzarsi in punta di piedi per toccare con le labbra i suoi seni.
Questa immane scontro culturale tra le faglie telluriche di due epoche, questo sovvertimento del passato, è rappresentato anche dalla numerazione invertita, che segna una scissione, delle pagine del libro. Insomma, i prodromi dell’Illuminismo, della fine della metafisica, sono nel senso del caos, dell’infinito peregrinare, dell’eterna ricerca della terra promessa: l’idea del viaggio, del nomadismo, tanto cara a Olga Tokarczuk e presente in tutta la sua opera.
Il libro è anche un poderoso campionario di usi, eventi, lutti, nascite, amori, fine di amari, guerre: va in scena la vita con tutti i suoi ammennicoli. In questo labirinto, come un Minotauro consapevole dell’esistenza dell’Unicità, vaga Jakub: da un casolare a una reggia, da un commercio amoroso a un’alcova di spirito; usando la Parola e, più frequentemente, il “Gesto”, il Messia seduce gli uomini e, soprattutto, le donne che favoleggiano dei suoi due membri.
Tecnicamente, l’idea più peculiare è senz’altro quella di porre il grande occhio che osserva le scene e la voce che le narra, fuori dal campo: i sensi sono quelli, diafani, colorati di niente dalle ragnatele del tempo, della vecchia “Yente”, il cui nome significa colei che diffonde la notizia e insegna agli altri, di cui le Parche si sono dimenticate, che vive nell’interregno tra la vita e la morte, proprietà né dell’una ma neppure dell’altra. Una sorta di narrazione, dice la Tokarczuk, in “quarta persona” che ha sostituito, nelle prime stesure del romanzo, il racconto in terza e poi in prima persona.
Yente non conosce distinzione tra passato, presente e futuro, non conosce i fatti, li vede avvenire contemporaneamente come in una sequenza di foto, più che come in un film. Yente ha accesso all’Aleph, l’ogni-luogo di Borges citato nel testo: “il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli… Se tutti i luoghi della terra si trovano nell’Aleph, vi si troveranno tutti i lumi, tutte le lampade, tutte le sorgenti di luce”; la narratrice è nel mondo di puro spirito, non percepibile dalla vista fisica, dove ci conduce per mano il non vedente Borges: ella è il (vero) Messia nascosto tra gli anfratti del libro che – sembra - additare il (falso) Messia; Jakub asserisce che la Grande Madre, la componente femminile di Dio o Dio stesso, è il vero Salvatore.
La struttura del romanzo è quella del “libro-mondo”, affine ad altri esperimenti letterali similari: da Infinite Jest di David Foster Wallace a L’arcobaleno della gravità di Pynchon, ma rispetto a questi con una vocazione più nettamente metafisica e un linguaggio molto meno rivoluzionario che fornisce alla parola il potere di condurre il lettore in un infinito altrove.
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Questa splendida e ricchissima recensione costituisce già di per sé uno stimolo di ricordi e riflessioni .Vien quindi voglia di correre a leggere il libro che,a sua volta, ha sollecitato così tanto la curiosità e l’interesse del relatore
Maria Pia, grazie!!