I pilastri della cattedrale
- Autore: Massimo Aureli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2018
Contro la Chiesa ed anche l’imperatore: una scelta temeraria a metà 1200, ma la contrarietà tanto al papato che a Federico II non sembra preoccupare affatto il monaco Gregorio, anzi lo spinge addirittura a progettare di piegare Roma, nel romanzo “I pilastri della cattedrale”, edito da Newton Compton (maggio 2018, 332 pagine, 9.90 euro copertina rigida 2,99 l’eBook), titolo d’esordio di Massimo Aureli, ricercatore di storia del Medioevo, appassionato di archeologia e di personaggi, famiglie, luoghi storici poco conosciuti. Ha richiesto al suo autore un anno di lavoro.
L’antico manoscritto ritrovato è un espediente sempre efficace per avventurarsi in narrazioni a sfondo storico. Questa volta si tratta del Codice Savelli, un documento che consente al neo scrittore di proporre la sua verità sulla morte dell’imperatore svevo e sull’affermazione di papa Innocenzo IV nei confronti dell’impero, che dopo Federico II non ebbe un successore riconosciuto per 28 anni, il cosiddetto “grande interregno”.
Nel Codex Sabellis, si apprende di ordini monastici cavallereschi sconosciuti. Il leggendario manoscritto racconta soprattutto la storia di Gregorio, abate di Farfa, che nella contesa tra la croce e la corona ebbe l’ardire di sfidare entrambe.
Quel religioso (tutt’altro che osservante, vedremo), non è mai esistito, a differenza dei papi, dei Savelli e di altri protagonisti della narrazione. Quanto a Farfa, era un’abazia situata in posizione strategica in Sabina, a ridosso del feudo di Torrita Tiberina. Controllava un territorio dalle alte Marche al Molise, guadagnando sempre più ricchezze e prestigio che impensierivano perfino papa Innocenzo. Per andare dal Lazio verso l’Adriatico occorreva passare in quelle terre, fa notare Aureli.
Legato a doppio filo al Codex è il servitore più fidato di Gregorio da Urbino, potente abate di Farfa. Si chiama Dante, aveva solo sette anni quando la sua poverissima famiglia lo ha messo a servizio in monastero, perché avesse almeno di che vivere e nutrirsi nella vita.
Nel 1243, Gregorio torna decisamente trasformato dal viaggio di due mesi nelle Marche e Abruzzi. Non è più l’intransigente predicatore che puniva il sorriso e l’allegria. È cupo, meditativo, tollerante.
Fai bene a ridere, ragazzo, perché quando tutto cambierà potrebbe rimanere soltanto il pianto!
Espelle dall’abazia il vecchio consigliere privato Girolamo, perché vuole un assistente laico, per allontanare gelosie e rivalità e lo sostituisce proprio col ventiduenne Dante. Questi - che ormai anziano, racconta più di quarant’anni appresso - scrive col senno di poi che il ritorno dell’abate dal viaggio è stato l’inizio di qualcosa di molto pericoloso e più grande di loro.
Gregorio gli detta lettere per nobili, potenti e cardinali. Stringe una relazione col senatore Savelli, feudatario confinante, capo della famiglia patrizia del defunto papa Onorio. Ma chi è Gregorio? Ha cinquant’anni, è forte, risoluto. Dante non lo ha mai sentito parlare di Dio, solo di potere ed egemonia, denaro e armi. Confessa al giovane di odiare la Chiesa e l’impero, re e cardinali, anche il pontefice. Di mattina presto, dalla sua cella esce una ragazza stupenda, con gli occhi verdi, i capelli mori. Dobbiamo essere sempre a disposizione delle “pecorelle”, dice l’abate al ragazzo: possono chiedere di confessarsi anche in piena notte.Cosa sta accadendo in quel convento, a quell’uomo non più di Chiesa? Può mai il papa replicare alla sfida con benevolenza?
Innocenzo manda truppe ad assediare Farfa. Molti armati. Stranamente l’abate ordina la resa, pur potendo contare su quasi mille difensori. Dante, invaghito di Ludovica, la bellezza mora, tratteggia un ritratto sempre più dettagliato di Gregorio, “marcantonio ubriacone” e “uomo di mondo rivestito di un saio”, che lava una sola volta a settimana.
Farfa nasconde qualcosa di ancora più ambiguo del commercio carnale (anche altri monaci ricevono visite femminili mercenarie): Dante aiuta a nascondere mille spade con iscrizioni blasfeme sulle lame e viene aggregato ad un corso di addestramento militare, istruito da monaci cavalieri. Nell’abazia, da una parte si prega o si finge di farlo, dall’altra ci si forma alle armi, si impara a spargere sangue.
Per il ragazzo va bene così, non è e non vuole diventare un monaco, ma un rispettabile cittadino romano. Intende apprendere d’arte, architettura e legge.
Orazio, il monaco cavaliere che lo addestra, invita il giovane a scegliere la spada che sarà sua per sempre. Prende quella appartenuta a papa Gregorio IX. Secondo una leggenda, è costata la vita ai fabbri che l’avevano forgiata, padre e figlio, incidendo una frase oscura che aveva fatto infuriare il pontefice.
Vero, non vero? Orazio non conferma e non smentisce. Anche frate Giulio, superiore di Orazio, resta sibillino, ma chiede al monaco istruttore di fare di Dante il migliore cavaliere di tutti i tempi.
È così che un giovane laico viene formato in un monastero all’arte della spada e al rispetto di regole che legano gli uomini più strettamente della fratellanza di sangue. Ma quali nemici dovrà affrontare? Quelli della Chiesa? L’imperatore? Il papa? Entrambi? C’è tutto il romanzo e il Codice per scoprirlo.
I pilastri della cattedrale
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