I quasi adatti di Peter Hoeg

Cos’è il tempo? Come è stato creato e perché è tanto importante? Lo si può maneggiare? ne possiamo fare a meno? In che misura è variabile o costante? Sono queste alcune delle domande che si pongono Peter e Katarina dopo aver conosciuto August. Sono poco più che bambini, sono dei quasi adatti. Hanno un passato tragico dietro le loro esili spalle, fatto di violenze, tragedie familiari e successive ospedalizzazioni. Sono bambini disadattati, al limite fra la normalità e la patologia, sempre sull’orlo dell’abisso. Sono bambini perennemente in punta di piedi sul burrone della malattia mentale come unica via di fuga da una realtà che li ha privati di tutto troppo presto.

Siamo agli inizi degli anni Settanta e la fredda Danimarca ha in serbo un progetto per Peter, Katarina, August e per tutti i bambini come loro. I quasi adatti devono essere recuperati, a tutti i costi, il loro passato e le loro nuove e particolari esigenze messe da parte. Devono frequentare scuole prestigiose assieme ai bambini adatti, rigorosi e grati, aiutati da insegnanti in grado di trasmetter loro conoscenza e disciplina, professori che di adatto sembrano avere veramente poco. Inutile aggiungere che tale mostruoso progetto educativo andrà presto fuori controllo.

Peter Hoeg, indimenticabile autore de "Il senso di Smilla per la neve", ne "I quasi adatti" ci trascina all’inferno, quello vero. La sua testimonianza autobiografica è una giostra di violenze, soprusi, incomprensioni. Uno scenario disgustoso e terrificante di ciò che l’uomo può infliggere ad un bambino, spesso con il delirio di agire per il suo bene. Quello di Hoeg, però, è anche un messaggio di speranza, un inno all’istinto di sopravvivenza che, come nel suo caso, può salvare la vita. E le vite non salvate, le vite perse? Le vite che hanno perso l’equilibrio e sono precipitate nel burrone? Non si può fare altro che raccontarle, restituendone dignità ed esistenza, nel modo sensibile e sofferto regalatoci da Peter Hoeg.