I quindicimila passi
- Autore: Vitaliano Trevisan
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
Quando finisci di leggere un libro e ti dispiace che sia finito, hai letto un bel libro.
Quando finisci di leggere un libro e ti capita di aver sottolineato delle parti e di esserti trovato a riscriverle qua e là per ricordarle a te stesso o, magari, per farle conoscere anche agli altri, allora vuol dire che hai letto un gran bel libro.
E se questo gran libro ti è rimasto dentro nonostante il ritmo nevrotico della sua scrittura, l’ossessivo ripetersi delle assurde pratiche quotidiane del protagonista, o il violento caleidoscopio di colori di una provincia in bilico tra manie di grandezza e una reale condizione di sopravvivenza esistenziale, allora vuol dire che hai letto “I quindicimila passi” di Vitaliano Trevisan (Einaudi, 2002).
Nell’assurda conta dei passi che muoviamo tutti i giorni in qualsiasi direzione, questo libro ci rivela la profondità del nostro passaggio e ci ricorda come quei passi qualche volta dovrebbero riuscire a portarci pure verso noi stessi. Perché è troppo distanti da noi stessi, che tante volte risultiamo nell’inseguire le assurde traiettorie delle nostre aspirazioni o in fuga dai nostri incubi peggiori. Alienato proprio perché braccato da un “essere” che diventa “non essere”, il protagonista comunque non rinuncia a svolgere il proprio percorso. A volte si gira di scatto, “convinto che girandomi di scatto, in modo repentino e senza alcun preavviso, tanto che a volte sorprendendo perfino me stesso, potrei sorprenderlo sopra le mie spalle”, dice. Se non riesce a sorprendere ciò che cerca davvero, in un certo senso riesce a sorprendere il senso della vita, ormai ridotta ad un susseguirsi vergognoso di respiri che rimbombano nel vuoto che ha dentro.
Confessa ad un certo punto:
“Una volta avevo anche delle aspirazioni, mi facevo delle illusioni. Da giovane, dunque in un periodo illogico al massimo grado, avevo delle aspirazioni e al tempo stesso mi facevo delle illusioni. Anzi, in realtà, nutrivo delle illusioni proprio perché aspiravo a qualcosa. Ma il continuo contatto con il mondo, penso seduto sul giardino della veranda, mi ha disilluso molto presto e le mie cosiddette aspirazioni si sono trasformate in inspirazioni ed espirazioni. A una certa età, in fondo, non ci interessa altro che continuare a respirare…”
Se per voi non è così, in fondo, io credo che non lo sia nemmeno per lui…
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