I racconti dell’io
- Autore: Valerij Brjusov
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2022
L’idea che la mente umana possa contenere più di un “Io” è molto antica, ed esercita particolare fascino la possibilità che due modi di essere in contrasto tra loro possano coesistere nello stesso individuo.
Sono parole di A. Dotti e F. J. Scarsi (in Disturbo dissociativo della personalità) che al netto della piega clinicizzante assunta poi dal loro saggio, introducono al tema della moltitudine degli “io” confliggenti chiamati a convivere in ognuno. A complicare le cose il fatto che l’io risulti succube inconsapevole dell’Es (la parte pulsionale dell’individuo), e ciò possa essere cagione di fratture interiori.
Anche la narrativa fantastica di argomento doppelganger è d’altro canto molto florida (Stevenson, Poe, Borges eccetera) e in genere emblematizza il tema attraverso le antinomie perturbanti bene/male, sé/altro da sé.
Su questa scia, si è mosso il russo Valerij Brjusov (1873 –1924), che ne I racconti dell’io (Edizioni paginauno, 2022. Curatore Giovanna Spendel) impagina nove storie dove dispercezione, ipnagogia, rimosso e/o rimorso governano sottotraccia. Divenendo epitoni di un io che fa i conti con l’io-ulteriore, proprio e altrui. Storie dove il chimerico diventa la cifra costante, il margine esiguo in cui l’abbaglio coincide con la veglia, il solito dall’insolito.
Soggetti come sono a misurarsi con il piano occult(at)o della razionalità, i personaggi posti in essere da Valerij Brjusov si pongono come ondivaghi, fratti, “psicanalitici” ante-litteram. Vale per l’io-narrante di Ora che mi sono svegliato, complementare tanto alle induzioni tenaci di un sogno quanto agli ambiti alterati della realtà. Vale per la protagonista di Nello specchio, che in rapporto biunivoco col proprio doppio riflesso, finisce col rimanerne succube. E in Bemolle, la giovane commessa compensa il grigiume di un presente insulso, con gli articoli di una cartoleria che le sollecitano reverie rasserenanti.
Eros e Thanatos – motori assoluti della vita intrapsichica dell’io – determinano l’andamento di un buon numero di racconti, declinati nelle sfaccettature di inquietudine-ossessione sentimentale, abbandono, rimpianto, attrazione inconscia per l’abisso. Sulle direttive “metafisiche” di tempo e fantasmi d’amore, i bellissimi Quindici anni dopo e Per sé o per l’altra?, rendono esattamente l’idea.
Le donne dei racconti di Valerij Brjusov sono del resto entità demiurgiche, misteriche, nel loro apparire-scomparire-ritornare, persino morire (e chissà se ancora ritornare) ad libitum, in una reiterato contaminarsi interiore-esteriore, reale-immaginato.
Sulla scorta del carattere ambivalente di I Racconti dell’io, Brjusov si merita appieno l’appellativo di “Edgar Allan Poe russo”: il frammento che segue riporta l’incipit di Nello specchio (emblema antonomasico di doppiezza), anticipatore tanto degli stilemi eleganti della prosa dello scrittore russo quanto i temi chiaroscurali che segnano questi racconti.
Ho cominciato ad amare gli specchi dai primissimi anni della mia vita. Da bambina piangevo e tremavo, mentre guardavo nella loro trasparente e vera profondità. Il mio gioco preferito dell’infanzia era camminare per le stanze o per il giardino tenendo davanti a me uno specchio per specchiarmi nella sua profondità, oltrepassando ogni volta il limite, con un nodo alla gola per il terrore e per il capogiro. Ancora ragazza cominciai ad arredare con gli specchi la mia stanza; ve ne erano di grandi e piccoli, di fedeli e di quelli che sfiguravano leggermente, di limpidi e di un po’ offuscati.
Il libro è un’altra gemma della raffinatissima collana di paginauno intitolata "Il bosco del latte".
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